sabato 4 maggio 2024

LA LIBRERIA DELLA LIBERA IDEA

 







In riferimento alla banda





TUTTO IL SEGRETO STA

 

NEL RACCONTARE

 

IL FALSO

 

PER NASCONDERE

 

LA REALTA’, ovvero: 

 

 

LA LIBRERIA DELLA LIBERA IDEA 

 

 

Lione, Museo del Crimine – 1925






C’è il pubblico delle grandi occasioni per la visita di Sir Arthur Conan Doyle al Musée du Crime, aperto da Edmond Locard a Lione. Il criminologo sta terminando la sua conferenza sul banditismo della Belle Époque, e non poteva non citare Jules Bonnot e i suoi anarchici:

 

‘L’anarchia ha come obiettivo l’emancipazione totale dell’uomo, ed è attraversata da diverse correnti, ma a differenza di altre dottrine politiche, si basa su regole etiche di condotta… ma vengo al punto…

 

La concezione individualista, signori, è quella che ha più influenzato i membri della Banda Bonnot. Secondo i suoi seguaci, non serve a niente aspettare la rivoluzione, ma bisogna vivere in accordo con i suoi atti e le sue parole. Se però una parte degli anarco-individualisti si accontenta di seguire i principi del vegetarianesimo e della non-violenza, altri – come i ragazzi della Banda Bonnot – hanno considerato che per raggiungere questi obiettivi fosse necessario passare all’illegalismo. Una corrente minoritaria che ha purtroppo condotto alcuni di loro agli espropri individuali, altri all’assassinio e alla morte violenta. Grazie signori e ora, se permettete, accogliamo il nostro ospite, il creatore di Sherlock Holmes, il più grande investigatore conosciuto. Peccato non sia mai esistito!’.

 

Risate e applausi accompagnano l’ingresso di Conan Doyle, che invece di salutare il suo anfitrione, si arresta stupefatto di fronte al ritratto di Bonnot, che campeggia all’inizio della sala dedicata: “Ma è Jules, il mio autista!”.




Il dottor Locard, sorpreso quanto il suo ospite, cerca di riportare lo scrittore inglese alla realtà:

 

‘Maestro, forse siete in errore. Quest’uomo è Jules, Jules Bonnot, il bandito’.

 

Sir Arthur Conan Doyle guarda di nuovo la foto:

 

‘E io vi dico che era il mio autista’. 

 

Londra, Tennison Road – primi mesi del 1911 

 

Bonnot cammina lentamente nell’elegante e tranquillo distretto londinese di South Norwood, e di fronte alla dimora dell’ormai ricco lord anglosassone spinge appena il cancellone d’ingresso. Superato il giardino antistante e una domestica curiosa, di fronte a Bonnot si palesa un signore dall’aspetto elegante, giacca di velluto e stivali da caccia, mentre colpi sordi si avvertono in lontananza. E non sembrano provenire da quella strada defilata, nella zona residenziale scelta dal creatore di Sherlock Holmes per ideare i suoi romanzi, ma da qualche parte all’interno della villa, oltre un cespuglio d’ortensie blu cobalto.

 

‘E lei chi sarebbe, giovanotto?’

 

‘Sono uno chauffeur... mi chiamo Jules e vengo da Lione’.

 

‘E sa parlare inglese?’





‘Mi faccio capire, Monsieur Doyle’.

 

‘Si sbaglia, io sono Ashton Wolfe, un buon amico di Sir Arthur. Lui non è disponibile al momento. Si sta, diciamo… esercitando’.

 

‘Golf?’

 

‘Non proprio, Sir Arthur adora le armi… lei le conosce?’

 

‘Ho fatto il militare, Monsieur Wolfe’.

 

‘Questo depone a suo favore, chi è abituato a obbedire sa stare al suo posto. E mi dica… come mai è a Londra?’

 

‘Per imparare l’inglese, Monsieur… pardon, Mr. Wolfe’

 

…Jules estrasse con cura dalla mantella una busta… 

 

‘e questa è da parte della Berliet’.

 

‘Avevo una Berliet, un tempo. Gran bella macchina. Vediamo… ah, una lettera di referenze della direzione’.

 

‘Del direttore, Mr. Wolfe… ero il suo autista’.




‘Eccellente, Jules. Qui leggo che lei è anche un ottimo meccanico. Il mio autista non saprebbe aggiustare una serratura, figuriamoci un carburatore… lei è un uomo fortunato’.

 

‘In che senso?’

 

‘Perché in questi giorni Sir Arthur è di passaggio a Londra, qui ci abitava una quindicina d’anni fa e ora purtroppo preferisce il Sussex, ma come me, adora le auto… vuole che le mostri la mia Austin? È un modello del 1909 ma se la cava ancora bene’.

 

‘Quindici cavalli, se non sbaglio’.

 

‘Eccellente Jules, eccellente…’

 

Diventare l’autista di un baronetto inglese, o del suo amico intimo, il che era lo stesso, non significava solo imparare le buone maniere e dormire in un letto come si deve, ma anche imparare a sparare con le nuove pistole automatiche Browning, niente a che vedere con i fuciloni dell’esercito francese. Tanto più che a Sir Arthur non dispiaceva mostrare ai suoi spettatori come impugnare al meglio quei gioiellini.

 


Il motore della Lanchester Landaulette ronfava monotono e regolare sul rettilineo che attraversava le campagne del Sussex. I sedici cavalli custoditi nel cofano avrebbero permesso una velocità maggiore, ma quel giorno il proprietario, sir Arthur, non aveva alcuna fretta di arrivare a destinazione. Comodamente seduto dietro, al punto da tenere una gamba accavallata sull’altra, e con in mano l’immancabile sigaro, sir Arthur conversava con l’amico Ashton Wolfe, anche lui scrittore. L’autista fissava la strada e sembrava assorto nel a guida, ma in realtà non perdeva una parola di quanto veniva detto alle sue spalle.

 

‘Se devo essere sincero, caro Arthur’,

 

…disse Ashton alzando il tono del a voce, segno che cominciava a scaldarsi,

 

‘io trovo di pessimo gusto il titolo: “Arsène Lupin contro Sherlock Sholmes”. Innanzi tutto, era suo dovere chiederti il permesso e...’

 

‘Il permesso?’

 

…lo interruppe sir Arthur.

 

‘Ma il suo è soltanto un gioco, uno scambio di iniziali che denota la volontà di ironizzare su quel cocainomane disgraziato’.

 

Si lisciò i folti baffi, accennando un mezzo sorriso divertito. Ashton sbuffò e diede una leggera manata sul bordo del o sportello.




‘No, no, il tuo sarcasmo verso Holmes già lo conosco, e anche se non lo condivido, sei padronissimo di trattare come credi la tua creatura. Però dovresti premunirti da certe mancanze di rispetto!’

 

Sir Arthur corrugò le sopracciglia, piegando ancora di più i baffi spioventi.

 

‘Via, Ashton... quel o che tu chiami “la mia creatura” è diventato una palla al piede, una vera iattura, e non so più che devo fare per liberarmene. Ma ne abbiamo parlato fino allo sfinimento, lasciamo stare. In quanto al a mancanza di rispetto, invece... non esageriamo. Maurice Leblanc ha tutto il diritto di farsi beffe di un personaggio che è ormai diventato più reale e noto del suo incauto autore. Non sarò certo io a lamentarmene. Al contrario, penso che un buon modo per limitare i danni fatti da Holmes sia proprio cominciare a ridicolizzarlo’.

 

Ashton sospirò, voltandosi a guardare la campagna per evitare di insistere. Ma non si trattenne dal dire, poco dopo:

 

‘Inaudito. Colui che lo ha creato è il suo più acerrimo denigratore. Sbagli, Arthur, te l’ho già detto non so più quante volte’.

 

‘Sì, me lo hai detto anche troppe volte’,

 

…ribatté sir Arthur staccando delicatamente la cenere del sigaro con l’unghia del mignolo.




‘E quel povero Leblanc, credimi, finirà anche lui col maledire il suo personaggio, il giorno in cui capirà che il mondo si ricorderà più di Arsène Lupin che non del suo creatore. E, come me, potrà scrivere qualsiasi altra opera, immensamente più valida e profonda, ma il pubblico, stupido e superficiale com’è, continuerà a chiedergli soltanto le avventure del ladro gentiluomo. Mi domando solo se si rende conto del guaio in cui si è cacciato’.

 

Poi, cercando di cambiare discorso, si rivolse all’autista:

 

‘Mi dica, Jules, lei ha mai sentito parlare di un certo Arsène Lupin?’.

 

E lanciò un’occhiata verso Ashton, come per invitarlo ad ascoltare la risposta.

 

Jules finse di non aver seguito la conversazione e chiese con aria improvvisamente attenta:

 

‘Ha detto Arsène Lupin, sir Arthur?’.

 

‘Proprio lui. Le dice niente questo nome?

 

…E’ pur sempre un suo compatriota’, aggiunse sir Arthur, strizzando l’occhio ad Ashton, che si era sporto leggermente in avanti.

 

‘Sì, lo conosco’,

 

…disse in tono neutro Jules.




Ashton assunse un’espressione esageratamente interessata, pregustando il seguito. Aveva avuto una discussione sulle doti del nuovo autista, che sir Arthur giudicava di gran lunga più istruito della media, addirittura straordinario nell’apprendere la lingua inglese, con grandi progressi nel giro di poche settimane.

 

Ashton, come sempre scettico per partito preso, aveva messo in dubbio che una persona intelligente e per di più istruita potesse limitarsi a quel lavoro. Così, davanti all’asserzione di Jules, chiese maliziosamente:

 

‘E mi dica, dove lo avrebbe conosciuto, il “signor” Lupin?’.

 

‘In Francia, sir Ashton’,

 

…rispose tranquillamente Jules.

 

‘Non personalmente, purtroppo, ma di lui so abbastanza da considerarlo una persona interessante. Molto interessante’.

 

Si mordicchiò il labbro, riprendendo a fissare la strada. Aveva detto troppo, lo sentiva. Ma quei due inglesi non sapevano neppure lontanamente di chi e con chi stavano parlando, e il tono canzonatorio di Ashton Wolfe cominciava a dargli sui nervi.

 

‘Mi perdoni, Jules...’

 

…intervenne sir Arthur.

 

‘Forse lei è caduto in un equivoco. Arsène Lupin è un personaggio di finzione, il protagonista dei romanzi che un certo Maurice Leblanc, suo connazionale, ha inventato...’

 

‘No, sir Arthur’,

 

…lo interruppe con inusuale decisione Jules,

 

‘Leblanc ha soltanto inventato il nome, non il personaggio. E se fosse un uomo d’onore, verserebbe parte dei proventi al legittimo ispiratore dei suoi romanzetti’.




Un sobbalzo dovuto a una cunetta fece chiudere di scatto la bocca di Ashton, che emise un  clac  secco.

 

Fortunatamente, non si morse la lingua. Sir Arthur, invece, per lo stupore si era lasciato cadere una cialda di cenere sul panciotto.

 

‘Mi sembra di avvertire una certa acredine nei confronti di Leblanc, caro Jules. Posso sapere che le ha fatto di male?’

 

‘A me niente. Ma si sta arricchendo alle spalle di un uomo che non è più in condizione di difendersi. Anche se, suppongo, Jacob si farà del e sonore risate leggendo i suoi libri’.

 

‘Un momento, mi lasci capire’,

 

…si affrettò a dire sir Arthur.




‘Chi sarebbe mai questo Jacob?’

 

Jules prese tempo, con la scusa di togliere la polvere dagli occhialoni con un panno che teneva a fianco. Per quale motivo si era lasciato coinvolgere in quel a discussione assurda?

 

Non doveva scoprirsi fino a quel punto.

 

L’autista serio e di poche parole, quale lui appariva agli occhi del suo datore di lavoro, non poteva abbandonarsi improvvisamente all’accorata difesa di un uomo per lui valoroso e di rara dignità, ma che, per i due gentiluomini inglesi seduti al e sue spalle, era innanzi tutto un malfattore e un ladro inveterato.

 

‘Dunque, Jules?’

 

…lo incalzò Ashton.




‘Marius Jacob è l’uomo che ha messo a segno almeno trecento colpi ai danni delle più ricche personalità di Francia, e senza che la polizia abbia mai capito come. Arsène Lupin è lui. Maurice Leblanc non ha fatto altro che documentarsi sulle sue imprese, infarcendole di champagne e donnine svenevoli, tutto qui’.

 

Al diavolo, pensò Jules. Visto che erano scrittori che imparassero qualcosa dalla realtà. E se con questo rischiava di mettersi in cattiva luce, pazienza. Marius Jacob meritava tale rischio.

 

Era il minimo che potesse fare per lui.

 

Sir Arthur lanciò un’occhiata trionfante all’amico Ashton: glielo aveva pur detto che quell’autista francese era un personaggio sorprendente. Poi, intrigato, chiese a Jules:

 

‘E dove si troverebbe, questo signore?’.

 

‘Alla Guiana, lavori forzati a vita’.

 

Ashton emise una risatina soffocata, per poi dire in tono canzonatorio:

 

‘Lupin è stato più abile, almeno finora. Se il suo Jacob è finito alla Guiana, non era poi così imprendibile’.

 

‘Un incidente causato da altri’,

 

ribatté Jules.

 

‘Per non abbandonare i compagni in difficoltà, è finito nella rete’.




‘Allora non era solito lavorare in proprio’,

 

aggiunse sir Arthur, lisciandosi i baffi con un gesto ripetitivo segno del profondo interesse che quella conversazione suscitava in lui.

 

‘A volte sì, altre no’,

 

…spiegò Jules.

 

‘Dipendeva dal tipo di azioni. Quando c’era bisogno di “assistenti”, aveva a disposizione dei validi aiuti. Li chiamavano i “Travail eurs de la nuit”. Ma lui restava la mente di ogni piano, senza Marius Jacob, gli altri non potevano nulla’.

 

I due inglesi si scambiarono un lungo sguardo. Ashton annuì, piegando la testa di lato: quel francese si dimostrava un individuo davvero singolare. Per essere solo un autista, sapeva sostenere una conversazione su argomenti insospettabili.

 

‘E di queste mirabolanti imprese criminose’,

 

 …riattaccò sir Arthur,

 

“saprebbe raccontarcene qualcuna?’

 

Jules premette con delicatezza il freno, scalando le marce: una mandria di mucche aveva appena attraversato la strada ma l’ultima, apparentemente incuriosita dalla Landaulette di sir Arthur Conan Doyle, se ne stava al centro del a carreggiata a osservarli, con uno sguardo singolarmente attento per un bovino.

 

Jules strombettò ripetutamente.




Il mandriano tornò indietro, assestò una bastonata sul e natiche della bestia, che senza manifestare eccessivo risentimento si decise a muovere qualche passo, continuando però a fissare di traverso quello strano animale sferragliante, che per di più emanava un pungente odore di fumo rancido. Jules riprese l’andatura abituale, e dopo qualche minuto

 

….si decise a raccontare:

 

‘In Francia tutti, o quasi, ricordano la prima colossale beffa di Marius Jacob. Credo sia stato nel ’97. Come le altre imprese anche questa si è venuta a sapere solo perché lui l’ha resa pubblica al processo. Era un maestro, nei travestimenti. Ma quel a volta si è limitato a fare da “segretario” a un suo socio, più anziano e di aspetto serioso, al quale aveva messo una tuba in testa e una fascia tricolore sul petto. Si sono presentati al Monte di Pietà, hanno messo sotto il naso del direttore un falso mandato che parlava di refurtiva in giacenza nei magazzini, e dopo aver fatto chiudere i battenti, hanno iniziato l’inventario. Considerando che nel giro dei pegni c’è sempre qualche usura da nascondere, il direttore non si è certo sognato di ostacolarli. Dopo tre ore di accurate ricerche, con catalogazione dei pezzi di maggior valore che finivano nella loro capiente valigia, Jacob ha messo le manette al direttore, comunicandogli che con suo profondo rammarico si vedeva costretto a fermarlo per accertamenti’.

 

Sir Arthur continuava ad arricciarsi il baffo destro, mentre Ashton che mostrava segni di irrequietezza, approfittò del a pausa per esclamare:

 

‘E hanno lasciato quel pover’uomo ammanettato al Monte di Pietà?’.

 

Jules scosse la testa.




‘No, perché a Marius Jacob non interessava il furto in sé, quanto beffarsi del e istituzioni, e nella maniera più eclatante. Il “pover’uomo”, (e mise un’intonazione ironica nel ripetere la definizione di Ashton), aveva la coscienza sporca per via di certi prestiti ad alto interesse su oggetti preziosi intestati a suo nome, e in quel momento era troppo impegnato a costruirsi una giustificazione da esporre al giudice. Jacob lo caricò sulla carrozza che li aspettava, diede ordine al vetturino di portarli al Palazzo di Giustizia e condusse il direttore fino all’ufficio del procuratore della Repubblica. Fece accomodare il direttore su una panca nel corridoio, entrò nell’ufficio dove chiese una banale informazione, e tornato fuori tolse le manette alla sua vittima, invitandolo ad attendere che il procuratore lo chiamasse per l’interrogatorio di rito. E prima di andarsene con la valigia piena d’oro, lo avvertì che la faccenda era considerata molto grave...’

 

Sir Arthur emise una risatina silenziosa. Ashton gli rivolse un’occhiata stupita.

 

‘Lo trovi divertente?’

 

…chiese.

 

‘Non divertente. Geniale’,

 

…rispose sir Arthur.

 

‘Stai parlando di un criminale della Guiana, non del Arsène Lupin di Leblanc’.




Sir Arthur si strinse nel e spalle, quindi, riaccendendo il sigaro, disse:

 

‘Intelligenza e inventiva possono prendere la strada sbagliata e mettersi al servizio del crimine, ma non per questo vanno negate come tali. E comunque, caro Ashton, è sempre il destino a giocare l’ultima carta. Prendi me: da ragazzo, a Edimburgo, ero un attaccabrighe, frequentavo teppisti di strada e tornavo spesso a casa con un occhio nero e i vestiti a brandelli. Oh, certo, lo facevo per difendere i più deboli... Ma il mio concetto di giustizia consisteva nel pestare più forte di quanto facessero i prepotenti. E se in una rissa avessi ferito seriamente un avversario, o peggio, lo avessi malauguratamente ucciso, sarei finito in riformatorio. E allora, dubito che adesso me ne starei qui, a godermi i miei lauti diritti d’autore comodamente seduto in quest’auto’.

 

Ashton sospirò dubbioso, e così facendo inalò parte della densa nube che, prima di essere dispersa dal vento, aleggiò nell’abitacolo avvolgendo gli occupanti. Sir Arthur alzò una mano in segno di scusa, poi si rivolse a Jules:

 

‘E quel direttore del Monte di Pietà quanto ci ha messo ad accorgersi del a feroce burla che gli avevano giocato?’.

 

‘L’intera giornata’,

 

…rispose Jules sforzandosi di non tradire la soddisfazione.




‘Intende dire che nessuno gli ha chiesto che cosa ci faceva lì, seduto su una panca del Palazzo di Giustizia?’

 

…intervenne Ashton, schiarendosi la voce dopo la tosse.

 

‘Quando è arrivata l’ora della chiusura’,

 

…spiegò Jules,

 

‘un usciere si è avvicinato, e quello ha preso a gridare che era innocente, che lui non sapeva si trattasse di refurtiva, e altre frasi che al giudice istruttore affacciatosi sul corridoio sono sembrate sconclusionate, ma anche sospette. Allora, ha ordinato che il direttore venisse chiuso in cella, in attesa che l’indomani si chiarisse la questione’.

 

‘Ma come’,

 

…sbottò Ashton,

 

‘lo ha fatto arrestare senza sapere di che cosa lo si accusava?’

 

‘Vede, (disse Jules con aria svagata), il fatto è che il giudice aveva fretta di andarsene a casa, e se si fosse fermato a chiarire, stilando un rapporto e aprendo una nuova pratica... sarebbe dovuto restare lì tutta la sera. Meglio rimandare all’indomani, senza bisogno di ricorrere a straordinari’.




Sir Arthur cominciò a ridere sommessamente, con quel suo modo sornione, a bocca socchiusa e senza emettere suoni, limitandosi a sussultare lisciandosi i baffi.

 

‘Devo ammettere che il suo Marius Jacob’,

 

…concluse mentre l’auto rallentava in prossimità del cancello di casa,

 

‘è indubbiamente più interessante di quel damerino in frac tanto amato dai lettori. E monsieur Leblanc avrebbe quanto meno il dovere morale di dedicargli ognuno dei suoi fortunati libri...’

 

‘E tu’,

 

chiese Ashton,

 

‘non hai nessuno da ringraziare per averti ispirato Holmes?’

 

‘Disgraziatamente no’,

 

…rispose sir Arthur tornando serio.

 

‘Se lo avessi, potrei dire al mondo: eccolo, il vero Holmes. Perseguitate lui e lasciate una buona volta in pace me’.

 

Il letto era più soffice e comodo di qualsiasi altro avuto in passato, e la stanza, che probabilmente doveva essere la più piccola del a casa, era spaziosa non meno dei monolocali in cui aveva vissuto con Sophie e arredata con cura in ogni particolare, dal e stampe alle pareti al tappeto sul parquet, dall’armadio in noce odoroso di cera all’intarsiato tavolino da lavoro pieno di cassetti e scomparti, dove trascorreva buona parte del suo tempo libero, leggendo i libri che sir Arthur gli permetteva di prendere dal a biblioteca.




La scelta era indubbiamente ampia, ma non comprendeva certo i testi che Jules preferiva: Michail Bakunin e Pierre-Joseph Proudhon non figuravano tra i pensatori amati da sir Arthur, che per la verità, alle tematiche sociali prediligeva di gran lunga i resoconti di grandi imprese belliche o, particolare che incuriosiva Jules, innumerevoli trattati di spiritismo e scienze occulte. Il problema principale comunque, restava quello della lingua: Jules si sforzava di leggere testi in inglese, soprattutto per acquisire una certa proprietà di linguaggio e ampliare il vocabolario, ma c’era un abisso tra sostenere una conversazione e afferrare le sottigliezze del a letteratura. Nella grande biblioteca che occupava buona parte del pianterreno aveva trovato vari testi in francese e alcune traduzioni dei romanzi di sir Arthur con protagonista Sherlock Holmes. Era appunto uno di questi che Jules stava leggendo alla luce del lume a gas, quando sentì i due colpetti alla porta, e la voce dal timbro basso e il tono garbato di sir Arthur.

 

‘Jules, la disturbo?’.

 

Andò ad aprire, infilandosi frettolosamente la camicia nei pantaloni.

 

‘Stia comodo, per carità. Sono venuto a importunarla perché ho dovuto cambiare i miei progetti riguardo la giornata di domani. Dobbiamo essere a Londra nel primo pomeriggio, per cui pensavo di partire piuttosto presto, così avrò modo di sbrigare alcune questioni con il mio editore’.

 

‘Nessun problema’,

 

…disse Jules.




‘Avevo già deciso di coricarmi appena finito il capitolo’.

 

E indicò con un cenno il tavolino.

 

Sir Arthur annuì, fece per congedarsi, poi la curiosità lo spinse a sbirciare la copertina di un libro appoggiato sul comodino: “I miserabili” di Victor Hugo.

 

‘Ottima lettura’,

 

esclamò con un sorrisetto malizioso.

 

‘Mi auguro però di non avere un bonapartista sotto il mio stesso tetto’.

 

Jules non osò spiegargli che, avendolo già letto in francese, stava affrontando quel testo solo per approfondire il suo inglese. Senza che ci fosse una ragione precisa, rispose invece:

 

‘Non era peggio di quelli che lo hanno preceduto e di quelli che lo hanno sconfitto’.

 

‘Chi, Napoleone?’

 

domandò ridendo sir Arthur.

 

Jules non rispose.

 

Si stava chiedendo che cosa lo spingesse a reagire ogni volta che lo scrittore si divertiva a stuzzicarlo. Poteva restarsene zitto, e risparmiarsi rischi notevoli. Ma ogni volta, era più forte di lui, doveva ribattere rinunciando al prezioso silenzio che era da tempo una sua basilare regola di vita.

 

‘Mio caro Jules’,

 

riattaccò sir Arthur in tono scherzosamente severo,




‘prima di compromettere la sua posizione, la devo informare che discendo, per parte dei nonni materni, dalla famiglia Pack. E un sir Denis Pack comandava la brigata scozzese a Waterloo, dove un altro prozio, Anthony Pack, perse un pezzo di cranio asportatogli da un soldato di Napoleone. Dunque, lei qui rischia di parlare di corda in casa dell’impiccato...’

 

‘Tra i ricordi di famiglia non ho mai trovato pezzi di cranio inglese. Non credo che sia stato un mio prozio a rompere la testa al suo’.

 

Per un attimo i due si fissarono. Poi sir Arthur scoppiò a ridere, ma stavolta in modo aperto, allegro, diverso dal solito risolino trattenuto che si concedeva in pubblico.

 

Jules sorrise a sua volta, e prendendo il libro aperto sul tavolino disse:

 

‘Questo l’ho trovato molto più divertente. Spero ne abbia altri, nella mia lingua’.

 

Sir Arthur osservò l’edizione francese di un suo romanzo con Sherlock Holmes, corrugò la fronte sbuffando, rese ancora più spiovente la posizione dei folti baffi, e sbottò:

 

‘Santo cielo, Jules, pure lei ci si mette...’.

 

E ripeté l’accenno ad andarsene. Poi, sospirando, aggiunse in tono più conciliante:

 

‘Be’, se non altro, ha cominciato dall’ultimo della serie. O almeno, da quello che io speravo fosse l’ultimo’.




‘Non capisco, sir Arthur’,

 

…mormorò Jules scuotendo il capo.

 

‘Che c’è da capire?’

 

‘Il suo fastidio per il personaggio che l’ha resa celebre in mezzo mondo’.

 

Lo scrittore emise un rumore sordo, che veniva dallo stomaco più che dalla gola. Quindi annuì, come rassegnato, e disse:

 

‘Va bene, Jules. Dato che non è ancora così tardi, se è d’accordo glielo spiego in biblioteca, davanti a un buon cognac appena giunto dalla sua amata terra’.

 

Jules accettò e tenne per sé il commento su quanto fosse fuori luogo definire “amata” la sua terra.




Sir Arthur fece strada fino al pianterreno e una volta in biblioteca indicò a Jules una soffice poltrona di cuoio prima di versare due generose razioni di cognac in coppe esageratamente larghe. Poi, ne porse una al suo autista che non sapeva bene come afferrarla e si sedette sul divano accanto. Dopo un primo sorso, disse:

 

‘Io non sopporto più Sherlock Holmes perché si è trasformato in una persecuzione. Ho cominciato a scrivere quei romanzi per puro divertimento, e infatti lei ha appena definito “divertente” ciò che sta leggendo. Ma non mi rendevo conto di quali assurdi meccanismi si mettono in moto nel pubblico. E’ qualcosa di morboso, che scatena le stesse pulsioni della gelosia nel e relazioni amorose. Il lettore si innamora di quello che uno ha scritto e pretende che il disgraziato autore continui a corrisponderlo, e guai, guai se viene deluso. Ora, io scrivo opere di ben altro spessore letterario, e su argomenti più profondi e degni di attenzione. Ma è tutto inutile. La gente, ormai, vuole da me solo questo: che vada avanti a sfornare chili di pagine impregnate di Holmes e Watson e tutta una sarabanda di criminali d’ogni risma’.

 

Finì il cognac rimasto e se ne versò dell’altro. Jules gli porse la sua coppa. Poi passarono ai sigari e, dopo averli accesi, nel mezzo di una nube spessa e immobile al centro della vasta biblioteca, sir Arthur riattaccò, in tono meno acceso, con una venatura di malinconia:

 

‘Sa come finirà, mio caro Jules? Che un giorno il mondo ricorderà il nome dell’investigatore e del suo aiutante, ma non quello del loro creatore. E ben pochi leggeranno le mie opere che costano impegno, i romanzi storici e i saggi, le pagine in cui ho messo il meglio di me stesso, come scrittore e come studioso...’.




Soffiò lentamente il fumo verso l’alto, fissando una fila di volumi su uno scaffale.

 

‘Ci ho provato. Proprio in quel libro che lei sta leggendo. Mi sono detto: finalmente, ho trovato il coraggio di liberarmene. E ho persino scritto una lettera di sfogo a mia madre, annunciandole che Holmes era giunto alla sua ultima storia, e che mi irritava il solo sentirlo nominare. Niente. Tutto inutile. E’ scoppiata una specie di rivolta. Valanghe di posta, proteste... Una signora mi ha dato del bruto, e molti scrivevano a Watson chiedendogli aiuto, si rende conto? Mi crede, se le dico che si è addirittura verificato uno sciopero in una fabbrica, contro di me, per aver fatto morire Sherlock Holmes?’

 

Jules annuì, accordandogli la sua comprensione.

 

Cominciava ad avvertire una sensazione di fastidio, per la dimensione grottesca di quel o sfogo amaro: non poteva fare a meno di paragonare le tragedie vissute dalla sua parte di mondo al dramma di uno scrittore ossessionato dal personaggio a cui aveva dato vita. Pensava con un crescendo di rabbia alle notizie lette il giorno prima sugli scioperi dei minatori nel Galles, paragonandoli agli imbecilli che avevano incrociato le braccia non per avere di che sfamare la famiglia o per ottenere una riduzione dell’orario, ma per chiedere che Sherlock Holmes tornasse in vita...

 

‘Sono stato costretto a resuscitarlo’,

 

…disse sir Arthur, battendo una manata sul bracciolo del divano.




 'Il primo e unico atto di viltà che ho compiuto nella mia vita. E sa perché?’

 

Jules si strinse nel e spalle, assumendo un’espressione incuriosita, e intanto pensava:

 

‘Che accidenti vuoi che me ne freghi, mi sta venendo sonno e domani devo scarrozzarti per ore, io con la faccia al vento e tu al riparo, stravaccato in quel a stronzata di macchina che ti sei comprato...’.

 

‘Perché dopo aver sepolto Holmes nelle cascate di Reichenbach’,

 

…proseguì sir Arthur,

 

‘ho scoperto che anche il conto in banca stava facendo la sua fine: affogato, estinto nel giro di pochi mesi’.

 

Jules si sforzò di mostrare stupore.

 

‘Un vero e proprio boicottaggio. Nessuno comprava una copia dei miei libri. O Sherlock Holmes o niente. E così uno come me, che da ragazzo ha conosciuto la miseria e la vita di strada... Perché, vede, arrivare a un certo benessere per chi sa bene che cosa sia la penuria, si traduce nel fare qualsiasi cosa pur di non perderlo’.

 

‘Ma che vuoi saperne tu di che cosa sia la miseria vera’,

 

…pensava Jules, mentre annuiva con aria di partecipazione al dramma del o scrittore.




Sir Arthur si rilassò, e per qualche istante rimase a rimuginare in silenzio. Jules continuò a bere e a fumare.

 

‘Mi dica una cosa, Jules’,

 

..esclamò con improvviso vigore lo scrittore, raddrizzando la schiena con un colpo di reni.

 

‘Secondo lei, perché i romanzi di Sherlock Holmes hanno tanto successo? Lei ne ha letto uno, e...’

 

‘No, quello è già il quarto’,

 

…lo corresse Jules.

 

‘Ah... Benissimo! Al ora si sarà fatto una sua idea. Perché la gente si sente così appagata dalla loro lettura?’

 

‘Perché lei dà loro esattamente ciò che si aspettano’.

 

Sir Arthur rimase interdetto, per la velocità e sicurezza con cui Jules aveva risposto. Ma che intendeva dire?

 

‘Può spiegarsi meglio?’

 



‘Lei racconta quello che la gente perbene vuole sentirsi raccontare. Li tranquillizza. Dà loro delle certezze, come la giustizia che trionfa e il male che viene inesorabilmente sconfitto. In un mondo dove le cose vanno esattamente al contrario, leggere le avventure di Holmes è un sollievo’.

 

Lo scrittore fissò il suo autista per lunghi istanti, senza riuscire a replicare. Poi, decise di versare dell’altro cognac per entrambi.

 

‘Interessante... Sì, grosso modo, è ciò che penso anch’io. Ma non dimentichi il fascino morboso che il male esercita sulle menti semplici. Forse è anche lì il motivo.

 

‘Certo. Ma le menti semplici, come dice lei, sono attratte dal male quando colpisce gli altri. I fulmini esistono e non si possono evitare: ma quando colpiscono la casa del vicino, si tira un sospiro, perché non è toccato alla propria’.

 

Sir Arthur accennò un sorriso poi tornò subito serio. Era intrigato da quell’autista che, dopo aver letto quattro suoi romanzi, era già in grado di imbastirci sopra una dissertazione sociologica. Un po’ troppo sicuro di sé, magari lievemente arrogante, ma arguto, quel tipetto francese...

 

‘Dunque, secondo lei, tutto il segreto sta nel raccontare il falso per nascondere la realtà... ho capito bene?’




‘Non intendevo essere così categorico. Però, in una società benestante che scopre l’esistenza dei miserabili, la disperazione di reietti disposti a tutto pur di strappare un pezzo di quel benessere osservato oltre il vetro... una società che si vede minacciata dai crimini di strada, dalla violenza cieca, da creature incomprensibili che si rivelano disposte a tagliare loro la gola per ottenere poche sterline... tutto questo fa sì che potersi illudere di avere dal a propria parte un infallibile castigatore del male come Holmes sia meglio di una pipa di oppio’.

 

 L’ultimo termine di paragone non sembrò piacere a sir Arthur.

 

‘Leggere i miei libri è pari ad assumere una droga?’

 

‘Qualsiasi cosa ci aiuti a dimenticare l’orrore della vita è una buona droga’.

 

Seguì un silenzio imbarazzato.

 

Jules, come suo solito, aveva preso a domandarsi perché si lasciasse fregare dalla conversazione fino a dire esattamente ciò che pensava, e sir Arthur, combattuto tra reagire e riflettere, continuava a tirare boccate dal sigaro rendendolo troppo caldo e amaro. Finché non si alzò di scatto, andandosi a piazzare davanti agli scaffali, dove prese a scorrere il dorso di alcuni volumi.




‘Gradirei che lei leggesse qualcos’altro di mio, vista la profondità che dimostra nel valutare i miei libri...’

 

Jules credette di cogliere una sfumatura sarcastica nell’ultima frase. E guardò l’orologio a pendola, imprecando tra sé: mezzanotte e mezzo. Non aveva più sonno, e l’indomani doveva controllare l’olio e l’acqua del radiatore di quella strampalata Landaulette. In Inghilterra costruivano le superbe Rolls-Royce “Silver Ghost”, e quello si andava a comprare una simile carriola, spompata e mangia-olio, roba da finire con i pistoni fuori dal cofano.

 

Sir Arthur stava per sfilare un suo studio sullo spiritismo, ma si bloccò, pensando che, se Jules aveva trovato Holmes un surrogato dell’oppio, chissà che diamine gli avrebbe ispirato un saggio sul e energie che sopravvivono al a morte del corpo.

 

‘Ecco, questo dovrebbe interessarle’,

 

…esclamò afferrando un’edizione rilegata in cuoio di “Sir Nigel”.

 

‘Certo non può competere con “I miserabili”, ma in quanto a scrivere romanzi storici, credo di sapere il fatto mio’.




Ancora quel velato tono sarcastico. Jules posò la coppa ormai vuota e disse alzando la mano:

 

‘Preferirei leggere le sue esperienze di guerra, se non le dispiace’.

 

Sir Arthur si irrigidì e assunse un’espressione guardinga.

 

‘E’ un argomento maledettamente serio. Ho partecipato alle battaglie contro i boeri e ho scritto dei resoconti con il solo scopo di levare una voce in difesa del mio paese, ingiustamente accusato di efferatezze inventate di sana pianta per vili motivi di propaganda antinglese. E’ sicuro di volerli leggere?’

 

Jules pensò che stavolta doveva andarci veramente cauto. Aveva toccato un punto scoperto nei nervi d’acciaio di sir Arthur, che parlando senza riprendere fiato si era infervorato al punto da avere le guance arrossate e gli occhi scintillanti. Giurò a se stesso di restarsene muto, al riguardo.




‘Bene, prenda questo’,

 

disse lo scrittore in tono improvvisamente sbrigativo, mostrandogli una copia di “Ragione e torto nel a guerra boera”.

 

‘L’ho fatto stampare in decine di paesi, aiutandomi con i contributi dei cittadini inglesi sparsi in ogni angolo del mondo’.

 

Jules si avvicinò a sir Arthur, che gli porse un’edizione inglese e una francese. Scelse quest’ultima; per il momento, ne aveva abbastanza di studiare una nuova lingua. Era una brutta serata, per lui. Cominciava ad avvertire i sintomi dell’inevitabile ricaduta: ogni cosa perdeva senso, il fascio di nervi nello stomaco era sempre più teso, avvertiva un crescente fastidio verso il nuovo datore di lavoro, e una sorda rabbia che tornava a montare contro l’inutilità della vita che stava conducendo. A che cosa gli sarebbe servito imparare l’inglese? Forse per dimostrarsi gentile e colto con gli insopportabili cicisbei che frequentavano quel a casa? O per continuare a guadagnarsi un discreto stipendio tenendo in testa un ridicolo berretto e aprendo sportelli al padrone di turno...

 

‘Qualcosa non va, Jules?’

 

Ci mise qualche secondo a realizzare: alzò gli occhi su sir Arthur e gli rivolse uno sguardo vuoto, lontano mille chilometri da quel a casa lussuosa e accogliente quanto può esserlo la più dorata delle prigioni.

 

‘Come? Ah... nulla. Temo che si sia fatto tardi’.

 

Lo scrittore annuì, fissandolo in modo strano.

 

‘Sì, ha ragione. E’ ora di riposare. Ci vediamo domattina’.

 

(Caucci/Monti)