mercoledì 22 febbraio 2023

IL PRIMO DIO

 










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Scavo nella memoria,
scavo la zolla,
scrivo con l'aratro il sogno nascosto
confuso con il passato.
La pietra assume visione
di un altro Dio,
per tanti è solo un incubo
mal scolpito.
La pietra mi racconta
un'altra visione,
coniata nel profilo di una moneta,
nella giara antica dove la tomba
l'ha restituita.
Racconta un diverso amore
e la terra di un altro colore.
Racconta la gloria di un altro peccato,
racconta la storia di un altro Dio,
forma la statua di un altro oracolo.
Racchiuso nella pergamena di un filosofo,
raccolto dalla parola di un'astronomo,
raccontato per bocca di uno storico,
intuito dalla mente di un matematico.
(G. Lazzari, Frammenti in Rima; Il Primo Dio 12/3)












... Conferme sostanziali a quanto detto finora troviamo nella teoria dei Neopitagorici
dichiarati, di coloro di cui, seppur approssimativamente e parzialmente, conosciamo
la collocazione storica, la produzione teorica e soprattutto l'appartenenza al neopita-
gorismo.
In tutte le trattazioni documentanti il monismo trascendenstico neopitagorico e la su-
bordinazione del principio diadico alla Monade  suprema, è citato innanzitutto un pas-
so, riferibile a Moderato di Gades, il passo in questione ha costituito un rovello per i
critici, sia sul piano testuale, sia sul piano della storiografia filosofica.




"Sembra che i primi fra i Greci ad avere questa concezione della
materia siano stati i Pitagorici e, dopo di loro, Platone, come an-
che Moderato attesta.
Costui infatti, seguendo i Pitagorici, dimostra che 'il Primo Dio' è
al di sopra di ogni essere e di ogni essenza; dice poi che il 'secon-
do Uno', che è l'essere in senso assoluto e l'intelligibile, sono le
Forme, mentre il 'Terzo Uno', che è quello in cui consiste l'anima
partecipa al Primo Uno e alle forme e che la natura che viene ul-
tima dopo questo (dopo il Terzo Uno), ossia la natura delle cose
sensibili, non partecipa di quelli, ma riceve il suo ordine per un
riflesso di quelli, poiché la materia delle cose sensibili è l'ombra
del non essere che si trova in primo luogo nella 'quantità' (= nel-
la materia intelligibile) ed è ancora inferiore a quello, derivando
da esso".




Al culmine della gerarchia ontologica qui presentata figurerebbe dunque un Uno
assolutamente trascendente, simile, si nota talora, al Bene Platonico, per il suo
essere, e verosimilmente d'altronde sopranoetico.
'Dopo' questo, viene un 'Secondo Uno', Intelligibile e sede delle Forme: non c'è,
nella descrizione di esso, nessuna espressione che ne allarghi il concetto oltre
quello del paradigma del 'Timeo', che cioè consenta di parificare questo 'Secon-
do Uno' al Dio aristotelico o a quello medioplatonico, in quanto Intelligente, o
nous, oltre che intelligibile o noetòn, e che dunque trasformi le idee in noèma-
ta divini.
E tuttavia, dato il parallelo consolidarsi di queste nozioni nella teologia medio-
platonica e nella stessa letteratura preparatoria al neopitagorismo, è effettiva-
mente probabile che questo 'Secondo Uno' di Moderato sia nous e che le Forme
costituiscano i suoi pensieri.




Il 'Terzo Uno' infine è la sede dello psichico e dunque l'Anima del Mondo.
Essa è esplicitamente legata ai primi due (partecipa al 'Primo Uno' e alla For-
me) da un rapporto di metessi, che può perciò forse considerarsi rapporto in-
tercorrente fra 'tutti e tre' i primi livelli del reale (anche il 'Secondo Uno' parte-
ciperebbe del 'Primo'): invece la physis, il complesso delle cose sensibili, si pre-
cisa, non partecipa dei primi tre livelli, ma ne 'riflette' solo l'ordine.
E' dunque ravvisabile qui effittivamente 'una gerarchia dell'essere su tre livelli -
e perfino su quattro, se includiamo la natura - in cui il livello più basso dipende
in qualche modo da quelli ad esso superiori'; già fin qui la teoria riferita assomi-
glia molto al sistema triadico delle ipostasi plotiniane: ma la somiglianza risalta
di più, se si legge il seguito del passo, in cui Simplicio, per il tramite di Porfirio
ed in un modo che rende piuttosto difficoltosa una distinzione fra le dottrine di
costui e quelle di Moderato, riferisce una teoria della materia.



E' questa seconda parte d'altronde che risalta il monismo di Moderato, nella
sua manipolazione dell''originario dualismo', e che emerge forse il suo mate-
matismo.
Porfirio, continua dunque Simplicio, cita Moderato e riferisce la seguente teo-
ria della materia, la quale esplicita le ostiche ultime battute della prima parte
del passo (la materia delle cose sensibili è un'ombra del non essere che si trova
in primo luogo nella 'quantità'): 'volendo il Lògos dell'unità come da qualche par-
te dice Platone, produrre la generazione degli esseri a partire da sé, attraverso
un processo di privazione separò da sé la 'Quantità', sottraendo da questa tutti
i propri lògoi e le proprie forme.




Nel seguito della sua relazione, Porfirio-Simplicio riferisce il complesso di nomi
con i quali Moderato e Platone avrebbero chiamato la 'Matera/Quantità' e pre-
cisa che questa Quantità - cioè l'èidos che si concepisce sia privato di tutte le
forme che contiene - è paràdeigma della materia che è nei corpi: i Pitagorici e
Platone chiamavano anche questa materia quantità, intendendola come idea,
bensì appunto come privazione, dispersione, deviazione da ciò che è e dunque
come "male"; per questo, si conclude, la materia sensibile non è altro che una
deviazione dell'intelligibile.
A noi, ancora, non interessa tanto sottolineare l'effettiva somiglianza della dot-
trina con la teoria plotiniana della materia, quanto fare qualche considerazione
esplicativa sul processo di 'generazione' della 'Materia/Quantità' e sui tratti ma-
tematistici impliciti nella teoria.




L'elemento che 'genera' l'èidos 'Materia/Quantità', determinandola come priva-
zione di tutte le sue forme', è stato spesso identificato con il 'Primo Uno'; ef-
fettivamente, la possibilità di descrivere una 'comunanza del genere', ma una
gerarchizzazione del 'Primo Uno' e del 'Secondo Uno' ed una 'generazione' del-
la 'Materia/Quantità' a partire dal 'Primo Uno', accomunerebbe la teoria di
Moderato a quelle di Sesto Empirico e di Eudoro, i cui concetti sarebbero me-
glio esplicitati nella dottrina di Moderato: tutte indicherebbero una trasforma-
zione sostanzialmente simile del dualismo in monismo.




Molto si potrebbe d'altronde dire sui tratti matematistici di Uno-Dio Supremo,
capace di generare per privazione dei lògoi e delle forme un ente intelligibile
che è precisamente ipostatizzazione della 'Pura Quantità' ed ancora sulla confi-
gurazione matematistica di quegli stessi lògoi e di quelle forme.
In sintesi quindi, è ascritta a Moderato una gerarchia ontologica, con a capo un
pròtos hèn assolutamente trascendente (oltre l'essere e l'essenza), verosimilmen-
te identificabile con il Dio Primo, nozione alla quale lavorarono parallelamente i
Medioplatonici e già avevano lavorato gli autori di pseudepìgrapha e coloro cui
si rifanno le relazioni anonime sui Pitagorici.
Il 'Primo Uno' è legato da un rapporto di metessi al 'Secondo ed al Terzo Uno':
i documenti visti fin qui e d'altronde la successiva Introduzione Aritmetica' di Ni-
comaco mostrano come il neopitagorismo andasse sistemando la stessa relazione
genere-specie in rapporto unilaterale e gerarchico di pròteron-hysteron e non ab-
biamo ragione di escludere che tale fosse anche il tipo di rapporto, descritto co-
me metessi, intercorrenti fra i tre 'Uni' di Moderato.




Il 'Secondo Uno', sede delle forme-paradigma e forse dello stesso intelletto, ge-
nera e perciò subordina a sé la Materia Intelligibile, agendo dunque come già a-
givano la monàs descritta dal Poliistore e la pròte Monàs di Sesto Empirico. 
Questa 'generazione' è descritta come privazione delle proprie forme; come pri-
ma già accennato, sarebbe ravvisabile una caratterizzazione aritmetica in un'ipo-
stasi che dà luogo precisamente alla 'Quantità Pura', se privata delle sue forme:
il 'Secondo Uno' di Moderato potrebbe perciò essere modellato sulla monade arit-
metica che, come spiegherà Nocomaco è radice naturale e principio di tutti i
numeri, poiché è capace di produrli da sé.






Sto solo incidendo il mio monumento,
sto solo scavando nella memoria,
sto solo parlando... con l'opera perfetta.
Sto solo scrutando lo sguardo di Dio,
il Primo bello come un sogno antico,
ma nascosto agli occhi del loro...
Secondo Dio.
Mentre domanda arte e bellezza
al tempo che lo vuole spettatore,
nascosto alla vista e alla memoria
in una maschera della storia.
Sto solo imparando il Tempo mio,
nell'attimo senza Tempo
... di un altro Dio.
(G. Lazzari, Frammenti in Rima; Il Primo Dio,
Secondo Dialogo 13/4)







Diversa appare invece, a prima vista, la teologia dell'altro grande e più platoniz-
zante esponente del neopitagorismo.
Numenio di Apamea: la riproduzione di teorie platoniche, tradizionali ed orto-
dosse, sembra infatti portarlo lontano dal monismo e dal matematismo teologici
di altri Neopitagorici. Il 'Commento al Timeo' di Calcidio ascrive infatti al nostro
filosofo un dualismo chiaro quanto quello di Plutarco e tanto meditato da ripro-
durre la distinzione pitagorico-platonica del Dio/Monade/Bene e Materia/Diade/
Male e da considerare contraria alla natura stessa dell'Uno la generazione Dia-
de/Materia.
Questo nucleo di platonismo ortodosso, come inoltre nega l'essere ai quattro e-
lementi, ai sensibili ed alla materia e lo assegna, invece, a ciò che è incorporeo
ed intelligibile, eterno ed 'identico', del pari attribuisce ai mathèmata una funzio-
ne solo propedeutica alla conoscenza del Primo Principio: l'assolutamente Bene
s'intende soltanto se ci s'intrattiene con esso 'da soli a solo' (e sempre contrap-
posti al male assoluto), dopo essersi allontanati dal sensibile, ma è necessario
un metodo; la cosa migliore è dunque, dice Numenio, nutrire un entusiasmo gio-
vanile per le scienze e studiare i numeri per apprendere l'oggetto della scienza
suprema.




Sembra dunque si dia una distinzione ortodossamente platonica (ed antimate-
matista) tra sfera dei mathematikà e sfera dell'oggetto della conoscenza supre-
ma: lo studio dei numeri trae verso quell'oggetto, che non avrebbe di per sé u-
na natura numerica.
La teologia numeniana rivela però, ad un esame più approfondito, un monismo
ed un matematismo sostanzialmente simili a quelli di altri Neopitagorici. Essa
è forse dotata del medesimo fondamento storico della teologia di Plutarco.
Come Plutarco dualista in metafisica, Numenio è perciò sostanzialmente mo-
nista in teologia, del monismo caratteristico dei pagani del suo tempo, per cui
non ha senso affermare vi sia un solo Dio, quanto piuttosto che uno solo è il
Dio assolutamente Primo.




Documentano questo monismo le numerose affermazioni numeniane di una ge-
rarchia ontologica ordinata ed unitaria: a capo di essa c'è un unico Dio, che è
Padre, assolutamente Bene e, a differenza di quello di Moderato, Intelletto;
al di sotto di questo, vi è il Demiurgo, collegato e contrapposto alla Diade/Ma-
teria, il quale imita copia e contempla il Primo Dio ed è principio del divenire
e Creatore; Terzo Dio è il Cosmo stesso, quantomeno nel suo aspetto intelli-
gibile, nell'Anima buona che lo razionalizza e lo ordina.
L'impianto gerarchico della dottrina dei tre Dèi emerge innanzitutto quando,
escluso che il sensibile, generato e mutevole, sia il vero essere, Numenio am-
mette appunto che soltanto l'intelligibile incorporeo sia essere, esso che, al
contrario, è stabile ed immutabile, alieno da nascita, crescita e movimento
qualsiasi: 'per tal motivo', egli puntualizza, 'è correttamente apparso giusto
porre al primo posto l'incorporeo'.




La connessione fra teologia e visione gerarchico-seriale della realtà è posta
d'altronde in termini espliciti e generali, quando Numenio nota che 'colui che
desidera farsi un'idea del Primo e del Secondo Dio deve innanzitutto distin-
guere ciascuna cosa nel suo grado e nel suo ordine, o, ancora, quando egli
specifica che, nonostante l'attività demiurgica non sia affatto propria del
Primo Dio, ma del Secondo, se si guarda al complesso creato e se ne ricer-
ca il principio in senso forte, è a 'Ciò che preesiste che rimonta l'operare in
senso demiurgico'.
Il principio è nell'essenza, per Numenio come già per Nicomaco, per Modera-
   to e per i Pitagorici di Sesto, presbyteron o pròteron rispetto ai princi-
piati e la gerarchia unilaterale e seriale determinabile a partire dai sensibili
culmina in un unico principio, il quale, assolutamente pròtos, è in realtà ed
in senso forte Principio e Causa anche dell'attività propria e specifica dei
suoi causati (attività demiurgica).




Anche per Numenio d'altronde, come per Moderato, il rapporto fra Secon-
da e Prima Divinità è descrivibile come imitazione e non è perciò invero-
 simile che egli, come altri Neopitagorici, assimili mimesi e metessi ed
entrambe comunque ad una relazione di pròteron-hysteron: il Primo Dio
possiede di per sé, primariamente e pienamente, le caratteristiche (la
bontà, il nous) che il Secondo, essendo neòteros ed hysteros, ha solo
perché partecipa del Primo, o perché lo imita e copia.
Relativamente interessante per noi nel suo aspetto complessivo, la teo-
logia numeniana rivela il suo matematismo soprattutto se si focalizzano
alcuni caratteri della prima divinità (l'Intelligenza, la connaturalità del
bene, l'inconoscibilità, la semplicità, la stabilità, la trascendenza).
E' nel Primo Dio numeniano perciò che l'attività pensante si identifica
immediatamente con la produzione-presenza di noetà, mentre il Secon-
do - il quale pure ammette un'attività intellettiva - contempla semplice-
mente, e non produce, 'nel' e 'con il' proprio pensiero, quei noetà, ma
opera ordinando per loro tramite la Materia: per questo il Primo Dio
è pròtos nous, perché Esso solo pensa in modo originario e creativo.




Ogni carattere di questo Dio gli appartiene piuttosto in senso primario,
proprio e forte, è cioè immediatamente connaturato alla sua essenza:
in tal modo Esso è Essere-in-sé e soprattutto Bene-in-sé e differisce
dal Secondo Dio, che è essere in senso secondario e derivato e buo-
no solo per partecipazione; per questa connaturalità all'essere ed al
bene, il pròtos theòs è 'fondamento' e 'principio' di essere e di bene.
Il Secondo ed il Terzo Dio (il cosmo) potrebbero cioè essere per
Numenio non entità diverse dal Primo Dio, quanto piuttosto sue dif-
ferenti 'funzioni', ipostatizzate su livelli ontologici successivi e rese
simbolicamente con le immagini dei tre Dèi, del sovrano, del gover-
natore e dello stato, o, ancora, con quella del seminatore e del tra-
piantatore.




Come ora vedremo, il platonismo contemporaneo a Moderato, a
Nicomaco ed a Numenio non si rivela per parte sua immune da un'-
analoga tendenza alla matematizzazione della teologia.
A differenza dei Neopitagorici, i Medioplatonici non chiamano il Pri-
mo Dio Uno o Numero, né propongono gerarchie di Monadi, media-
trici fra l'Uno Primo ed il sensibile: i Medioplatonici assomigliano pe-
rò ai Neopitagorici quantomeno nella teorizzazione di un Principio
Primo divino, trascendente, spesso perciò ineffabile e conoscibile
solo intuitivamente, che è attività noetica e Causa, attraverso que-
sta, della sistemazione cosmogonica della Materia informe.
La teologia medioplatonica converge dunque con quella neopitago-
rica a confermare il recupero del trascendente dei primi secoli dell'-
era cristiana ed a spianare la strada alla grande teologia neoplatoni-
ca: simile nelle due tradizioni è in particolare un sostanziale moni-
smo (o monoteismo); Dio certamente non è per i Medioplatonici l'-
unico principio, né è l'unico ente divino: come Plutarco, Dio è però
appunto 'unico' nella sua primarietà (le idee gli sono subordinate) e
nella sua positività (Esso solo, e non certo la materia, è Causa for-
mante d'ordine e perciò di bene).




Il medioplatonismo si mostra ovviamente, meno del neopitagorismo,
erede di una generale utilizzazione metafisica del numero; eppure
anch'esso ribadisce un'esemplarità aritmetica nella teologia dell'età
imperiale, perché neppure il Dio medioplatonico sembra liberarsi
del tutto della caratterizzazione che lo parifica all'unità-principio-dei-
numeri, e che è lontana eredità del matematismo protoaccademico:
ciò emerge non tanto nei concetti teologici generali appena richiama-
ti, quanto piuttosto nella dottrina della trascendenza e dell'ineffabili-
tà divina ed in particolare in una delle viae a Dio fra le quali ricordia-
mo quelle degli 'Oracoli Caldaici'.
Per questi ultimi in particolare, l'atteggiamento fondamentale per
giungere a concepire un Dio assolutamente primo e trascendente è
una sorta di deviazione dai sensibili e di 'svuotamento' dalle impres-
sioni dei sensi (la figura, il colore, la grandezza): Numenio infatti rac-
comandava di allontanarsi dalle cose sensibili e dalla corporeità con
uno specifico allenamento nelle scienze esatte; gli Oracoli Caldaici
prescrivevano a loro volta, poiché Dio resta al di fuori della portata
dell'intelletto di tendere verso di Lui un intelletto vuoto di sensazioni
e Massimo di Tiro raccomandava di non pensare, in riferimento a
Dio.

(L. M. Napolitano Valditara, Le idee, i numeri, l'ordine)











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