Prosegue con
il Capitolo
Ecco a Voi, Signore & Signori i numeri del Circo!
Ecco a Voi
giocolieri acrobati e trampolieri danzanti, accompagnati da bestie cavalli
& cammelli incrociati con altolocati prestigiosi e mai visti somari: Fiere con
il loro e altrui numero preferito: promettiamo ritmi &d evolute contorsioni
nonché bestie mai viste né udite; accompagnate da altrettante acrobatiche
giostrate artificiose Intelligenze, sospese nel vuoto del numero preferito.
Accorrete
popolani & smarriti viandanti, seppur ben nutriti e in facoltà del potere
dell’abito di scena, seppur invalidati (non men dell’elefante) muti ciechi e
sordi dall’inalata musica del rumoroso progresso, non men che ubriachi di
dolore, - & o – molesti molestatori molestati dalla febbre del sabato sera,
ponete l’accompagnata promessa alla X preferita della giostrata Compagnia lanciata dalla
piattaforma pattuita, deponete l’abdicata Corona, al resto pensiamo noi nel
donarvi quanto la Natura dello spettacolo vi ha privato & mai concesso -
seppur ammessi alla Fiera del successo - con promessa di non farvi mai più
ritorno -, da ogni lato della luminosa Vetrina con il numero da circo promesso!
Il ritmo
assicurato nel numero preferito, godetevi lo spettacolo dell’acrobata lanciato
dal palco dalla donna cannone!
& solo allorquando il macellaio ‘mani di seta’ reclama la sua Dèa preferita inciampando dall’ammiraglia della prestigiosa corrazzata non ancor del tutto affondata, mentre la bestia serve la platea al numero pattuito acclamata senza prefisso & preavviso danzare nel ventre della balena (il noto ritmo numerato dell’algoritmo), avvisterete nella melma Giona proclamare Diritto di replica prima e dopo l’imbarco previsto dell’ugual medesima… messa in scena.
Il ritmo si
fa serio & frenetico mentre il Titanic(o) avvenimento prende il
sopravvento: danza anche lui, dalla stiva alla platea, in attesa dell’iceberg (come
della Balena) non pattuito seppur gradito, con aggrappato un fiero orso - né
visto né udito - per il fossile dell’Ammiraglio, successivamente rivenduto
dall’uno all’altro polo assetato di più saggio gasato petrolio prestato dal
numero della più prestigiosa Compagnia soprannominata…
Donna Cannone...
L’oracolo
del Tempo come della Storia intrattiene la danza nel ventre della bestia domata
e non ancor digerita, in attesa incestuosa del clown per l’applauso unanime a
scena aperta del populista rivenduto & successivamente accreditato apprendista
da Circo acrobatico, o baraccone con promessa di più nobile fiera, per la
storica nuova o antica ed altrettanto acrobatica acrobazia del numero preferito!
Ogni
artificiosa intelligenza ha il suo Profeta!
Il numero preferito fuori o dentro la gabbia incanta e allieta ogni ‘putto’ credendosi bambino; ovvero ogni Pinocchio in attesa di divenire uomo al canone pattuito: quando s’illumina lo sguardo al ‘numero’ convenuto e prefissato nonché pre-pagato, decolla il profilo da fiera e più nobile Vista (aggiornata) ripescata in un mare d’oceano senza frontiera alcuna, solo qualche pirata fa la sua antica scomparsa & la risata prende il sopravvento: ride di gusto nell’inciampo dell’acrobata saltato in padella nel numero preferito del cerchio di MangiaFuoco in cui - Ognuno Nessuno escluso - dalla Rete d’un più nobile e globale unanime commercio… affogato in una inaspettata risata da Fiera.
L’uomo
Elefante ingaggiato dall’ignota Compagnia intrattiene la folla in attesa della
propria e altrui Storia, il suo un numero terribile e più che temuto alla Vista
d’Ognuno!
Il popolo
lo odia e ama in qual-tempo alternato dal fossile antico e senza più tempo di
non-ritorno, alla pattuita concordata rata del promosso progresso nella
disgiunta Memoria di cosa sia medesima facoltà iscritta per l’abdicata dismessa
Storia d’un Giga byte di nano-Secondo, circoscritto & diluito al cortile
d’una facoltà ove il numero attende l’acrobatico torna-conto di più pura
inviolata decenza.
Ogni
Intelligenza ne abbisogna!
L’Uomo Elefante intrattiene la folla, il suo un numero terribile alla vista d’Ognuno Nessuno escluso, lo abbiamo detto & lo ripetiamo dagli isolati eroi di Omero, viene mostrato negli intervalli dei tempi supplementari delle pause concordate della Compagnia del commercio, in attesa del nano, il giudice amico che reclama il numero della bestia con più elevato indice di gradimento alla cas(s)a d’appuntamenti convenuta, il gorilla farà la sua comparsa & allieterà la folla per ogni cespuglio e giardino la cui Vista non più gradita, il nano come il freak d’una diversa avventura transitata…
Anche la
genetica è una scienza più che accreditata!
L’Intelligenza
s’aggruma sofferta sofferente & ulcerata diligente & in perenne
diligenza mentre Viaggia & naviga per future colonie da sbarco fondare il
proprio & altrui Impero, posto nella conseguente difficile scelta
dell’equilibrista, alla sinistra della tenda, vuol più spazio dalla destra con
maggior Vista. Seppure il suo un numero con l’ideale d’una vecchia scrittura da
teatro, il camminare o inciampare su ugual filo che scorre all’algo-ritmo
convenuto, nasconde e cela il segreto della rete dell’illusionista che appena
si intravede nella dottrina dell’antica prospettiva di ugual scena.
Dietro le
quinte per medesimo colpo di Scena o di Stato non regna gran differenza!
Discuteranno
in seguito senza seguito di medesima Storia al numero concordato per ogni
bestia alla statistica della più nota Borsa della Compagnia nella ristretta
cerchia d’un circo…
La futura Dèa recita il copione concordato e annunzia cum magno gaudio l’Uomo Elefante il mostro preferito…
Il popolo
accorre e accalca con ugual medesima mostruosità il numero preferito…
L’UOMO ELEFANTE
Quando, verso la fine di novembre del 1884, l’Uomo Elefante apparve come dal nulla in un negozio di Whitechapel Road a Londra, era ancora agli inizi della sua carriera da mostro professionista. Il suo vero nome, come testimonia il suo certificato di nascita, era Joseph Carey Merrick, e il suo manager a quel tempo era Mr Tom Norman, uno showman specializzato nell’esposizione di fenomeni da baraccone e novità. Il negozio assunto per la sua mostra era allora numerato 123 Whitechapel Road.
Direttamente
dall’altra parte della strada rispetto alla fila di negozi, dall’altra parte
dell’ampia arteria, si trova l’imponente ingresso del London Hospital. L’attuale
facciata risale infatti ad una ristrutturazione effettuata nel 1891. Negli anni ottanta dell’Ottocento l’ospedale presentava
una lunga e imponente facciata classica, ben arretrata dietro la ringhiera e
con le portinerie all’ingresso principale.
L’intero
effetto è stato progettato per ispirare fiducia nelle capacità della scienza
medica e una misura di adeguato rispetto tra gli abitanti del distretto. Era il
segno esteriore e visibile di benevolenza e carità autoritarie in un’area che
per molti decenni aveva sperimentato un’intima connessione con deprivazione e
povertà: un’area in cui ondate successive di immigrati squattrinati si
stabilirono accanto alle comunità originarie dei poveri di Londra; coloro che,
secondo la definizione del grande pioniere vittoriano della ricerca sociale,
Henry Mayhew, ‘lavoreranno, non potranno
lavorare e non lavoreranno’.
In un quartiere del genere quindi Joseph Merrick finì per cadere sotto le cure di Tom Norman, nella speranza che l’impatto di Elephant Man su Londra sarebbe stato vantaggioso per entrambi. Fuori dai locali, dall’altra parte del negozio davanti, lasciando libera solo la porta, l’uomo di spettacolo appese un grande lenzuolo di tela dipinto con l’immagine sorprendente di un uomo a metà del processo di trasformazione in un elefante e annunciando che lo stesso sarebbe stato visto all’interno per il prezzo d’ingresso di due pence.
Se l’arte
era rozza e i colori sgargianti per un gusto sofisticato, il poster
evidentemente aveva l’effetto sensazionale desiderato. Un giovane chirurgo del
London Hospital, il signor Frederick Treves, che visitò il freakshow, ricordava
il poster in ogni vivido dettaglio quando arrivò a scriverne circa quarant’anni
dopo.
Questa
produzione molto cruda raffigurava una creatura spaventosa che sarebbe potuta
essere possibile solo in un incubo. Era la figura di un uomo con le
caratteristiche di un elefante. La trasfigurazione non era molto avanzata. C’era
ancora più dell’uomo che della bestia. Questo fatto – che fosse ancora umano –
era l’attributo più repellente della creatura. Non c’era nulla in esso della
pietosità della deformità o del deforme, nulla del grottesco del mostro, ma
semplicemente l’insinuazione ripugnante di un uomo trasformato in un animale.
Alcune palme sullo sfondo dell’immagine suggerivano una giungla e avrebbero potuto indurre la fantasia a supporre che proprio in quella natura selvaggia si fosse aggirato l’oggetto perverso.
Qualunque cosa
potesse indurre il povero Merrick ad assomigliare a un elefante, nel
presentarlo come un mostro, il signor Norman stava seguendo un’antica
tradizione le cui radici affondavano molto indietro nella storia delle fiere e
dei circhi in Inghilterra. Londra in particolare era nota per il suo
insaziabile appetito per i mostri almeno fin dai tempi di Elisabetta I.
Come
affermò Henry Morley nelle sue Memorie di Bartholomeo Fair, non era semplicemente la folla
comune a cercare una formidabile dieta di segni e prodigi, sostenendo le mode
popolari nel grottesco. Tutti nella società, fino all’ideale della testa
coronata, ‘condiviso nei gusti... per
uomini che sapessero danzare senza gambe, nani, giganti, ermafroditi o ragazzi
squamosi’.
Prosegue
commentando, scrivendo il suo libro alla fine
degli anni ’50 dell’Ottocento:
‘Il gusto permane ancora tra le persone incolte
dei ranghi più alti e più bassi della vita, ma durante il regno di Guglielmo e
Maria, o della Regina Anna, era quasi universale. La Fiera di Bartolomeo, con
tutti i prodigi in essa esibiti, non era come sarebbe adesso, un’esposizione
annuale di cose difficilmente visibili fuori da una fiera, ma era, per quanto
riguardava i Mostri, solo una concentrazione annuale in un punto della fiera
divertimenti che altre volte erano sparsi per la città e per la campagna’.
La carriera medica di Treves, il chirurgo che lo aveva diciamo così scoperto nel suo numero da Circo, fin dall’inizio è stata associata al London Hospital. Era arrivato come studente di medicina nel 1871, era diventato assistente chirurgo nel 1879 ed era stato nominato chirurgo a pieno titolo proprio in quell’anno 1884. Sebbene avesse solo trentuno anni, la sua esperienza della spaventosa gamma di orrori fisici e lesioni che probabilmente sarebbero state ammessi in una fondazione che esisteva per curare i mali di un’area che ospitava alcune delle peggiori baraccopoli d’Europa deve essere stato considerevole.
Sarebbe
stato ragionevole aspettarsi che fosse a prova di shock, con il naso abituato a
odori come la cancrena, gli occhi abituati alle terribili lesioni facciali che
potevano derivare da una rissa con bottiglie rotte in qualsiasi pub di Londra
il sabato sera. Da quello che dice e dirà ancora è tuttavia chiaro che fu
scosso dalla prima occhiata a Joseph Merrick; forse anche colto di sorpresa
dalla repulsione per il fetore
disgustoso emanato dal corpo di Merrick, riassunse la sua reazione iniziale in
una frase memorabile: che Merrick gli sembrava…
‘l’esemplare più disgustoso dell’umanità non avevo mai incontrato una versione così degradata o perversa di un
essere umano’,
…scrisse
Treves,
‘così come si mostrava questa figura solitaria’.
Mentre
Treves lo fissava, l’Uomo Elefante cominciò a girarsi lentamente in modo che il
suo visitatore potesse vederlo da tutte le angolazioni.
Il movimento risvegliò gli istinti clinici del chirurgo e si accorse che la sfortunata creatura mostrava segni di trascorsa sofferenza in qualche èra della vita dovuta ad una malattia all’anca sinistra; lo aveva reso zoppo tanto che aveva bisogno di appoggiarsi a un bastone. Con il ritorno dell’abitudine al distacco scientifico, Treves cominciò a fare osservazioni precise. Laddove si era aspettato di vedere una figura allo stesso tempo mostruosa e grande, l’Elephant Man era di corporatura piuttosto esile, forse solo poco più di un metro e mezzo di altezza.
La parte
superiore del suo corpo era nuda fino alla vita, la metà inferiore era vestita
con un paio di pantaloni logori che sembravano essere ‘appartenuti al vestito
di un grasso gentiluomo’. Anche i piedi erano nudi, e la sua zoppia divenne
evidente mentre stava lì, il corpo leggermente inclinato a sinistra, la schiena
contorta e piegata.
Più di ogni
altra cosa, è stata la testa a creare un’impressione così sorprendente.
Sembrava davvero enorme, al di là delle più fantasiose aspettative di Treves:
una massa deforme di grumi ossei e escrescenze cutanee simili a cavolfiori.
Aveva la circonferenza della vita di un uomo e la fronte era sfigurata da
protuberanze di materiale osseo che sporgevano in avanti in grandi
rigonfiamenti, conferendogli l’aspetto di una pagnotta di pane adagiata su un
fianco. La protuberanza più grande premeva sul sopracciglio destro, tanto che l’occhio
su quel lato del viso era quasi nascosto.
La metà inferiore del viso era essa stessa compressa e deformata da un rigonfiamento della guancia destra, dove una massa di carne rosa sporgeva dalla bocca, costringendo le labbra a piegarsi invertite. Qui era evidentemente l’origine del ‘tronco’ che il cartellonista aveva rappresentato così graficamente, anche se con una certa licenza artistica per esaltarne la somiglianza con l’anatomia di un elefante. C’erano altre masse ossee presenti sulla parte superiore e laterale del cranio, ma in queste aree era la pelle a dominare, la carne era sollevata in pesanti escrescenze a forma di cavolfiore che pendevano ai lati e dietro la testa.
Il corpo di
Merrick non è stato in alcun modo risparmiato. Masse di simili escrescenze
pendule di pelle pendevano dal petto e dalla schiena. Altrove sembrava che la
pelle fosse ricoperta di sottili verruche. Il braccio destro era di dimensioni
enormi e praticamente informe, la mano destra era ‘grande e goffa: una pinna o una pagaia piuttosto che una mano... Il
pollice aveva l’aspetto di un ravanello, mentre le dita avrebbero potuto essere
spesse radici tuberose’.
Era
impossibile immaginare che un simile arto potesse essere di grande utilità per
il suo proprietario. Al contrario, il braccio sinistro e la mano sembravano del
tutto normali, addirittura delicati e femminili nella loro raffinatezza. I
piedi, per quanto Treves riuscì a vedere, erano informi e deformati quanto il
grosso destro braccio.
A Treves sembrava che lo showman non fosse in grado o non volesse fornire più delle informazioni più rudimentali sulla sua accusa: che era nato inglese, che aveva ventun anni e che il suo nome, Treves affermò di avergli detto, era John Merrick. Da parte sua, Treves provava un frustrante sconcerto di fronte alle malformazioni che si trovava a osservare. Non era assolutamente in grado di spiegare quella condizione, di appuntarvi alcuna etichetta di diagnosi medica o di ricordare di aver mai incontrato qualcosa di lontanamente simile nell’esperienza professionale o nella formazione teorica.
LA FIERA
Un articolo
anonimo su Elephant Man apparso sull’Illustrated
Leicester Chronicle il 27 dicembre
1930, chiaramente basato sulla conoscenza delle circostanze della famiglia
Merrick, afferma che Mary Jane era lei stessa una storpia. È nata nel piccolo
villaggio di Evington, nella periferia sud-orientale di Leicester, terza figlia
di una famiglia di nove persone. I suoi genitori, William ed Elizabeth
Potterton, erano normali persone di campagna. In effetti, suo padre, un
bracciante agricolo, non sapeva scrivere il proprio nome, ma i Potterton si
comportarono bene con i loro figli, permettendo loro di frequentare la scuola
finché non avessero ricevuto almeno un'istruzione di base.
Il Leicester Journal del 9 maggio 1862 conteneva il seguente annuncio:
‘Si comunica che il
prossimo Mese, ovvero, Lunedì 12 maggio si terrà la FIERA per la vendita di
cavalli, bestie e pecore, e martedì, il 13 e i giorni successivi per la vendita
del formaggio. Per ordine, Saul Stone, segretario comunale. N.B. Nessun carro
del formaggio potrà entrare nella piazza del mercato tranne che da Hotel Street’.
Il giorno
successivo il Leicester Chronicle ripeté doverosamente l’avviso.
C’erano
fiere a Leicester sin dal XIII secolo.
Le date delle fiere e delle feste che celebravano erano variate nel corso degli
anni, ma gradualmente si unirono nelle due grandi fiere annuali della città. Il
primo si teneva ogni anno all’inizio di maggio, al momento dell’Invenzione
della Croce; la seconda all’inizio di ottobre.
Prima della loro interruzione nel 1902, erano tra le più grandi fiere popolari della Gran Bretagna. La gente si riversava in città dai villaggi e dai paesi vicini per comprare e vendere nei mercati, assumere dipendenti e personale domestico e valutare la qualità e i prezzi di bovini e cavalli. Rifornirono le scorte delle fattorie per altri sei mesi, scambiarono notizie domestiche con i vicini, comprarono vestiti e si meravigliarono delle nuove mode, si fecero strada tra le bancarelle e finirono per divertirsi con le sciocchezze della fiera del piacere.
Per i
cittadini di Leicester le fiere furono una più che attrattiva economica bensì una vera e propria
benedizione, poiché le strade e le arterie principali furono bloccate da
bancarelle e folle sempre in aumento. I filatori di cotone che si affrettavano
la mattina presto verso le piccole fabbriche e i mulini trovavano le loro
strade bloccate dal bestiame che veniva portato al mercato nel centro della
città. Per due giorni le strade divennero sporche e insidiose. Come osservò il
dottor John Barclay di Leicester in una conferenza tenuta nel 1864:
‘Che il mercato del bestiame sia una seccatura
terribile nessuno, credo, lo negherà. Sono sicuro che nessuno dirà una parola a
sostegno di ciò poiché dovrà barricare le proprie porte contro i luridi
accumuli che fanno sembrare e puzzare le strade come una stalla per un paio di
giorni. Nella mia parte della città siamo piuttosto bloccati…’.
Il giorno successivo alla fine della vendita del bestiame, il pollame arrivò in città, rumoroso e stipato sul retro di un centinaio di carri. Poi ci sarebbe stata una giornata di relativa pace e pulizia mentre la fiera del formaggio prendeva il sopravvento. Da ogni masseria e da ogni caseificio venivano portati i grandi formaggi, adagiati sulla paglia fresca sul fondo dei carri. Da un capo all’altro della città i carri, con i cavalli sciolti, stavano addossati ai marciapiedi, con le sponde abbassate per esporre i formaggi ai passanti.
Negozianti
e casalinghe si muovevano lungo la strada, assaggiando campioni prima di
acquistare. I formaggi migliori andavano rapidamente ai grandi fruttivendoli;
quando si accendevano le lampade a gas all’imbrunire restavano solo i formaggi
più scadenti.
Nel
frattempo, mentre le fiere commerciali procedevano, Humberstonegate, essendo
una delle vie più ampie della città, fu riservata alla grande fiera del piacere
e dei divertimenti. Ai lati della strada erano allineate bancarelle e scaffali,
e dove la strada si allargava nella sua parte più ampia c’erano altalene e
giostre; cabine teatrali e marionette; spettacoli da baraccone, mangiatori di
spade e giocolieri; bancarelle per la vendita di dolciumi, pasticcini e
medicinali brevettati.
La signora IC Ellis, nella sua raccolta di reminiscenze, Leicester del XIX secolo, lo ricordava così:
‘La fiera di Humberstonegate era uno scorcio di
paradiso. È stata una gioia mai dimenticata andare sulle rotatorie anche se non
ci siamo mai avventurati sulle altalene. Lo spettacolo delle bestie selvagge
ruggiva e puzzava come nient’altro al mondo, ma la cosa più delicata e
adorabile era lo spettacolo delle marionette. Siamo stati portati giù dai bazar
– ed erano molto belle le bancarelle –
una lunga fila di tende con merci tutte su un lato… C’erano show con ballerini
in calzamaglia che si esibivano su una piattaforma – questi spettacoli
accompagnati da nostro padre e un altro parente noi tutti evitavamo, ma le
marionette ci era permesso vedere… Noi andati ai posti anteriori e solo dopo
aver pagato il biglietto ci sedemmo, il
proprietario aprì la parte anteriore della tenda e mostrò al suo rispettabile
pubblico, e gridò di nuovo: “Due penny dentro dalla porta laterale, un penny
dentro davanti” ’.
Nel suo
rapporto sulla fiera del piacere del
1862, il Leicester Journal è
riuscito a trasmettere l’aura generale di eccitazione:
‘Giganti, discendenti in linea diretta dagli
Anakim dell’antichità; uomini di caucciù & acrobati; vengono presentate
meraviglie di ogni descrizione nella natura animata e novità sorprendenti dell’arte
freak. Si dice che l’immagine di un maiale mostruoso, esposta all’esterno di
uno stand, abbia la sua controparte vivente perfetta che pesa diverse
tonnellate all’interno. In un altro stand risiede una mucca, le cui zampe
posteriori sono adornate da una zampa in più, che secondo il proprietario, è
destinata espressamente per grattarsi il naso’.
Il Leicester Chronicle, riprendendo il tema,
adottò un tono più sprezzante:
‘Nonostante le forti piogge e le attrazioni un po’
limitate... è stato visitato da un gran numero di contadini durante la
settimana... C’era un nuovo circo, quello di Croueste, che mostrava allo
sguardo ammirato dei giovani una serie di vignette colorate, rappresentanti
cavalieri in ogni sorta di atteggiamenti impossibili; e una cabina teatrale
fatiscente, con attori e attrici, i cui abiti erano in mirabile armonia con l’aspetto
desolato dell’edificio. Un maiale gigante, una mucca a tre zampe, alcune barche
a dondolo dall’aspetto sporco e traballante, rotatorie davvero eccezionali,
bancarelle per nick-nack e gallerie di fucili - costituivano un raduno
piuttosto eterogeneo di commercianti peripatetici’.
Eppure questo paragrafo continua con quello che, dal punto di vista del presente resoconto, è un frammento di informazione intrigante:
La
caratteristica principale è stata, ovviamente, il serraglio di Wombwell...
Lo
spettacolo delle bestie selvagge difficilmente poteva deludere. Le collezioni
permanenti di animali erano ancora estremamente rare, quindi l’unica
opportunità che la maggior parte delle persone aveva di vedere esemplari
zoologici esotici era offerta dai serragli itineranti. C’erano nel paese
diverse aziende in viaggio ogni anno, tra cui Atkins’s e Sedgwick’s, ma la più
famosa negli annali della storia delle fiere era la Royal Menagerie di
Wombwell.
Nel 1862, quando Wombwell’s era in viaggio a Leicester
per la fiera di maggio a Humberstonegate, il suo fondatore era morto da una
dozzina di anni e l’azienda principale era sotto la gestione della sua vedova. Il
tour che portò all’arrivo del serraglio in città seguì, tuttavia, uno schema
consolidato da tempo. Per prima cosa arrivarono gli agenti di zona per
prenotare il sito, organizzare i rifornimenti d’acqua e le stalle, acquistare
mais e foraggio. I tipografi furono incaricati di stampare volantini, affissi
manifesti sui muri e inseriti annunci sulle prime pagine dei giornali locali le
cui colonne interne riportavano notizie della guerra civile americana.
Finalmente, il primo giorno di fiera, la città si ritrovò svegliata alle sette del mattino dal tintinnio e dallo scuotimento di una colonna di pesanti carri che procedeva per le strade. Il convoglio era composto dalle carovane per gli alloggi, dai carri per le provviste e da diciassette o diciotto carri bestiari. Questi ultimi, essendo gabbie, erano alti otto piedi e larghi e lunghi fino a diciotto piedi, i loro occupanti erano nascosti da grandi persiane, le loro ruote cerchiate di ferro e rumorose.
Ogni carro
era trainato da una pariglia di quattro cavalli shire che si sforzavano davanti
a ciascuno, con gli zoccoli che scivolavano e scintillavano sull’acciottolato;
e marciando tra i carri, a volte attaccati all’uno o all’altro dei veicoli più
grandi, camminavano elefanti e cammelli.
Una volta a
Humberstonegate, tra grida e spinte di cavalli, i carri furono predisposti per
formare un quadrato. Tre lati erano formati dai carri stessi. Il quarto era
costituito dall’alta facciata in legno che costituiva il fronte dello
spettacolo. Era decorato con finti pilastri di legno e pannelli dipinti
raffiguranti bestie infuriate che duellavano in giungle impossibili mentre
uomini, magnifici nel coraggio a torso nudo, lottavano con feroci leoni.
Al centro
della facciata c’era la cassa, appollaiata in alto su una piccola piattaforma,
e la piazza, una volta completata, era coperta da teli tesi da carro a carro.
Infine, all’interno della piazza, le saracinesche gialle dei carri sarebbero
state abbassate sui cardini per mascherare le ruote e mostrare le bestie all’interno.
Legati qua e là in piccoli gruppi c’erano lama, cammelli e altre creature, si spera, acquiescenti. Nelle gabbie intorno alla piazza c’erano lupi e leopardi, orsi, scimmie, zebre, piccole antilopi, pappagalli e pellicani.
Potevano
esserci anche tigri e pantere, anche se trattasi di bestie piuttosto insolite,
poiché gli showmen trovano le tigri imprevedibili e difficili da addestrare.
Due delle gabbie erano per i leoni. In questi un domatore di leoni si trovava
faccia a faccia con due o tre grandi felini, facendoli posare, saltare
attraverso i cerchi, sdraiarsi e stare in piedi per comandare. Ma se i leoni
regalavano emozioni, erano gli elefanti a conferire allo spettacolo un senso di
solido merito.
La
popolazione locale giudicava lo status di qualsiasi serraglio in base alle
dimensioni e al numero dei suoi elefanti.
Ogni giorno
a mezzogiorno era quindi consuetudine aprire i cancelli laterali del serraglio
affinché gli elefanti potessero sfilare solennemente fuori e muoversi
pesantemente per le strade come un’imponente pubblicità ambulante. Il loro corteo
è stato uno dei momenti salienti della fiera del piacere, e il giornalista del
Leicester Journal parlava a nome di molti quando lo riassumeva allegramente con
la frase che Wombwell’s era qui ‘in tutto il suo splendore’.
I resoconti della stampa locale di Leicester del maggio 1862 non contengono alcuna menzione di una sfortunata ragazza, storpia e incinta, che inciampò quando costretta dalla calca della folla sulla carreggiata davanti a un elefante in parata, cadde ma arrampicandosi riuscì a liberarsi, angosciata e molto scossa. Non vi è alcuna ragione per cui dovesse esserci una tale notizia, né alcuna ragione per cui qualcuno sarebbe dovuto venirne a conoscenza, a parte gli astanti. Eppure divenne un evento così inestricabilmente intrecciato alla leggenda dell’Uomo Elefante, un incidente così spesso menzionato da coloro che conoscono Joseph Merrick, che sarebbe irragionevole supporre che non sia mai accaduto.
Mary Jane Merrick diede alla luce il suo primo figlio tre mesi dopo la fiera di Humberstonegate!
L’IMPRESARIO
Per un
certo periodo gli spettacoli di Tom Norman viaggiarono con successo di città in
città e le sue memorie trasmettono un sapore vivido delle sue tournée. La prima
esigenza era un adeguato “show shop”, preferibilmente nella via principale
della città visitata. Di regola tali locali venivano affittati onestamente, ma
se i tempi erano duri si poteva ottenere con l’astuzia l’uso di un negozio. Il
modus operandi dello stratagemma è il seguente. A metà mattinata di sabato Tom
Norman si rivolgeva a un agente immobiliare appropriato, affermando che stava
agendo per una nuova società che intendeva aprire una catena di bazar alla
moda. Esprimeva interesse per un negozio libero già assegnato e prendeva la
chiave, promettendo di restituirla lunedì mattina.
& dato che la maggior parte degli agenti immobiliari avevano la propria casa in confortevoli e tranquilli sobborghi, non sapevano mai che non appena Tom Norman li aveva visti partire sani e salvi per tornare a casa verso mezzogiorno, si era trasferito nei locali vuoti.
In un
batter d’occhio gli ‘oggetti di scena’ arrivarono su un carretto trainato da un
vecchio uomo di colore, che in questo caso incarnava i colori dello spettacolo medesimo.
Un grande telo di tela, ricoperto da un dipinto ad olio che aveva almeno una
remota relazione con lo spettacolo che stava per essere allestito, veniva poi
sospeso in alto sulla facciata dell’edificio mediante un sistema di pali e
carrucole. Tom Norman di solito teneva in serbo diversi dipinti di questo tipo,
con alternati internati diversi colori, pronti per essere adattati più
praticamente a qualsiasi classe di mostro.
Durante i
primi giorni nella colorita vita di Tom Norman, le torce a nafta venivano
utilizzate fuori dai negozi adibiti agli spettacoli, ma quando questi si
surriscaldavano, la nafta spesso cominciava a gocciolare sui marciapiedi per
poi accendersi, diventando un pericolo per i passanti e innescando incendi fino
ai più remoto boschi non lasciando scampo alla pagante platea convenuto per la
il numero della bestia.
Tom sapeva
come infiammare l’intera platea!
Successivamente
adottò le lampade a paraffina, e quando non c’erano abbastanza soldi per
comprare l’olio per le sei grandi lampade necessarie, l’uomo di colore veniva
spedito nei negozi più vicini per mettere ‘tre quarti di paraffina’ in ciascuna
lampada. L’uomo avrebbe detto al petroliere che le lampade erano ormai troppo
pesanti per essere trasportate tutte in una volta, quindi ne avrebbe prese tre
adesso e sarebbe tornato più tardi a prendere le altre.
Con le prime tre lampade si poté inaugurare la mostra. Non appena fosse stato preso abbastanza denaro, si sarebbero potuti mandare a prendere le restanti tre e saldare il conto.
Quando
finalmente la mostra fu pronta a decollare, l’uomo nero, ora vestito di pelli e
piume e con grandi anelli di tenda sulle mani e sulle gambe e un anello al
naso, danzò sulla soglia del negozio, battendo un gong o un tamburo. Tom Norman
animò ulteriormente l’allestimento raccontando storie di come questo anziano
nativo una volta attraversò a nuoto il fiume Orange per salvare un gruppo di
marinai naufraghi che altrimenti sarebbero andati perduti (era un elemento
della storia che scartò frettolosamente quando un ascoltatore esperto - una
persona del genere chiamata ‘Arca di Noè’ o ‘nark’ nel gergo degli uomini di
spettacolo - lo informò che chiunque lo desiderasse avrebbe potuto guadare il
fiume Orange senza bagnarsi le ginocchia).
Con le ‘esclamazioni,
grida & racconti’ di Tom, raramente passava molto tempo prima che la strada
fosse completamente bloccata dalla gente, e in alcune occasioni potevano
esserci problemi riscontrati da parte dello sceriffo. Ma tali collaudati spettacoli
erano uno prassi comune, e anche lo sceriffo lo era, e di solito si persuadeva
facilmente a chiudere un occhio mentre prende l’abitudine di farsi un goccio la
sera, solitamente subito prima di uscire dal servizio ove non èra mai arrivato.
Poi Tom Norman, sapendo cosa ci si aspettava, avrebbe versato il bobby sixpence per il suo disturbo – sempre in monete di rame, poiché pensava che in quella forma sembrasse una somma più grande.
Per tutto
il sabato pomeriggio e sera lo spettacolo continuava, spesso rimanendo aperto
fino a mezzanotte. Fu riaperto per un po’ di domenica, ma all’alba di lunedì
gli oggetti di scena erano al sicuro sul carro e lo spettacolo scivolò
silenziosamente fuori città. La chiave del negozio era stata infilata nella
cassetta delle lettere dell’agente immobiliare con una nota di rammarico per il
fatto che i locali risultassero inadatti allo scopo prefissato.
Gli stand
esposti da Tom Norman cambiavano frequentemente ed era disposto a allestire
quasi tutti gli spettacoli. Le novità da lui promosse includevano pulci in
imbracatura, donne grasse, bambini giganti, uomini alti, uomini bassi. Per un ‘Savage Zulù Show’ reclutò i suoi selvaggi tra le fila dei marinai
in pensione che vivevano dalle ‘remote’ profondità della Ratcliffe Highway.
Tali
spettacoli erano, ovviamente, abbastanza comuni nei quartieri fieristici, e
deve essere stato uno molto simile a quello di Tom Norman che sicuramente mise
alla prova la pazienza dei cittadini di Northampton, stufi del frequente
montaggio di intrattenimenti nella piazza del mercato. Il 4 giugno 1881, il Northampton Mercury registrò la sua denuncia:
‘Con il permesso del sindaco, il proprietario di
qualsivoglia mostra può piantare la sua tenda sulla piazza in qualsiasi
momento, e l’ultimo esempio del disagio di cui ci lamentiamo si è verificato
martedì, quando alcuni Zulù si sono esibiti in un grande stand. Per quanto
stimabili possano essere questi signori e signore in altri ambiti, in questo
caso non si sono dimostrati vicini desiderabili’.
Durante la serata continuarono una sorta di canto gregoriano esagerato, con variazioni zulù, alternato alle note di un potente organo. Un gigante irlandese e un nano ugualmente irlandese, esposti insieme come ‘Le accidentali avversità iberniane’, costituivano un’altra sorprendente attrazione. Tom Norman montava la classica illusione della testa parlante e, in un secondo momento, anche una dimostrazione ‘wireless’, in cui i clienti stavano ai lati della stanza ad ascoltare musica presumibilmente proveniente da Londra. In questo caso i momenti di forte disillusione erano un po’ troppo frequenti, come la puntina incastrata nel grammofono nel retrobottega.
Uno stand
alla quale Tom Norman si affezionò particolarmente fu quello della ‘famiglia di
nani’. Consisteva in due nani, considerati marito e moglie e sempre portati in
città in una carrozza in miniatura appositamente costruita e trainata da pony.
In ogni città del tour decise di chiudere lo spettacolo per alcuni giorni in
modo da consentire alla nana di ‘dare alla luce il suo bambino’. Un neonato
veniva quindi assunto per costituire l’annunziata prole, e dopo un simile ‘felice
evento’ si formavano sempre code ancora più grandi per vedere il nuovo
arrivato.
L’unico
problema era la difficoltà che aveva nel trattenere la ‘madre’ dall’imprecare
loquacemente, dal fumare la pipa e dal bere gin davanti ai clienti. Alla fine
la ‘mostra’ finì in rovina quando la ‘madre’ scappò una notte, rifiutandosi di
essere mostrata ancora come donna, poiché entrambi i nani erano uomini.
Ma le imprese di Tom Norman raramente fallivano del tutto. Divenne un maestro della trascorsa arte di attirare l’attenzione della folla con una versatilità di ‘acrobazie e acrobati’. Uno dei suoi espedienti preferiti era quello di annunciare illustri ospiti - e a questo punto invocava solitamente il nome di PT Barnum, americano titolare del ‘Il più grande spettacolo della Terra’.
Fu un
trucco che tentò una volta di troppo.
Un
pomeriggio all’Arcadia, tenutosi nella Royal Agricultural Hall di Islington,
dichiarò coraggiosamente la sua solita affermazione, solo per scoprire di aver
scatenato un’allegria sfrenata da parte di tre gentiluomini tra il pubblico.
Dopo lo spettacolo, uno di loro si rivelò
niente meno che il grande showman stesso. Barnum allungò una mano per toccare le
‘mazzette’ di dollari d’argento messicani e americani che Tom Norman portava
abitualmente appesi alla catena dell’orologio e disse ai suoi compagni con
ironico divertimento:
‘Il Re d’Argento, eh?’
…la frase
senza dubbio gli venne spontanea con evidente riferimento a Il Re d’Argento, il
celebre melodramma e successo teatrale di Henry Arthur Jones e Henry Herman del
1882.
Fu sufficiente: in un momento di evidente imbarazzo ma Tom Norman riuscì a recuperare il trionfo. Mantenne il soprannome fino alla fine dei suoi giorni e rivendicò Barnum tra i suoi amici. Man mano che le sue imprese prosperavano, Tom trovò possibile trasferirsi in una sede permanente. Il primo negozio che acquistò era in Edgware Road, ma nel giro di sei mesi era proprietario di altri tredici negozi espositivi a Londra e dintorni.
Aveva un ‘prendisoldi’
e l’incaricato trascorreva il suo tempo andando di negozio in negozio per
raccogliere gli incassi, osservare l’andamento delle varie esposizioni,
apportare piccole modifiche alle mostre, e spostare le mostre tra i locali. Talvolta
Tom era a corto di novità e ‘fenomeni’ adatti, e faceva di tutto per procurarsi
nuovi pezzi dal vivo, spesso facendo un lungo viaggio in treno con la complicità
di una mancia e una volta trovato un soggetto adatto da esporre, usava un’abile
astuzia nell’approccio, magari impiegando diversi giorni a guadagnarsi la
fiducia della persona interessata prima di fare una proposta.
Parlando
dei soldi guadagnati dai suoi clienti, era incline a usare frasi come ‘importi
da artisti famosi’ o ‘stipendi principeschi’, e affermava che pagava somme ‘che
permettevano loro di godere di ogni ragionevole lusso in questa o altra
esistenza in vita e successiva morte’. Se qualcuno gli rivolgeva l’accusa di
sfruttare i suoi freak per profitto personale, si difendeva sottolineando che i
suoi freak guadagnavano più di quanto potessero sperare con qualsiasi altro
mezzo. Inoltre, finché restavano sotto la sua cura, non costituivano più un
peso per i parenti e per la comunità.
Insisteva
sul fatto che la loro vita da ‘artisti delle fiere’ era varia e interessante,
mentre l’unica vera costrizione consisteva nell’essere rinchiusi nel noioso isolamento
delle case di cura o presso inospitali
ospizi.
Nulla avrebbe mai potuto scuotere la propria e altrui convinzione che, per la maggior parte dei casi esposti, i suoi ‘mostri’, conducessero vite infelici e insoddisfatte, o che lui stesse offrendo loro una degradante prospettiva. Mentre la legge sui poveri rimaneva in vigore, aveva un punto a favore per il ruolo da ‘mostri da palcoscenico’ concesso loro a dispetto della più umiliante degradante povertà.
Fu durante
il primo periodo in cui stava costruendo il suo piccolo impero di negozi fieristici
a Londra che Tom Norman ricevette la proposta da ‘Little George’ di assumere la
gestione londinese del giovane grottescamente deforme di Leicester noto come Elephant Man. A tempo convenuto &
pattuito per la Campagna del grande show.
George
Hitchcock e Joseph Merrick arrivarono a Londra un giovedì pomeriggio del novembre 1884, Tom Norman fu commosso
nel vederli, anche se aveva replicato alla proposta dell’improvvisata Compagnia
dei due venditori, promettendo una futura vetrina all’attico del suo negozio
con tanto di insegna al neon di Whitechapel, la settimana successiva, nel caso
in cui si fosse liberato un posto alle vetrine dei piani inferiori.
Nel
frattempo, nel negozio di East India Docks Road, stava promuovendo una squadra
di contorsionisti e acrobazie conosciuta come Dailo Sisters. Dovevano essere
sostituiti dopo il fine settimana da un Professor Durland con i suoi ‘Man Fish’
e ‘Transparent Lady’ che erano l’attuale attrazione a Whitechapel.
Quando Tom Norman incontrò per la prima volta Joseph Merrick, lo vide indossare non lo sorprendente abbigliamento descritto da Treves, ma, più convenzionalmente, un lungo cappotto nero, un cappello di feltro nero e una sciarpa di lana che nascondeva la giacca e gran parte del suo volto. Il signor Hitchcock presentò informalmente l’Uomo Elefante come ‘Joe’, una familiarità che scosse subito la sensibilità di Tom Norman. Ma le sue apprensioni aumentarono fino allo sgomento quando Joseph si tolse il cappello e il cappotto e srotolò la sciarpa. Sebbene lo showman si considerasse abituato agli spettacoli più strani della natura, dovette confessare che la sua risposta inespressa quando vide Joseph per la prima volta fu:
Oh Dio!
Non posso usarti!
Eppure era
già impegnato per contratto con gli showmen delle Midlands, e inoltre, notava
una palpabile profondità di supplica e sofferenza negli occhi di Elephant Man.
Il consorzio
di Leicester aveva già inviato una serie di ‘manifesti piuttosto rozzi
raffiguranti alcuni mostri metà uomo e metà elefante che si scatenano nella
giungla’. Tom Norman li considerava più un ostacolo che un aiuto, poiché Joseph
era incapace di fare altro che una ‘camminata un po’ irregolare’. Ma i
manifesti erano tutto ciò che avevano da appendere fuori dal negozio e
suscitare interesse. C’erano anche circa mille copie di un opuscolo sui
fenomeni da baraccone, da vendere a mezzo penny l’una, e il ricavato costituiva
un contributo al reddito di Joseph.
Quando lo spettacolo aprì a mezzogiorno di lunedì, Tom Norman aveva già elaborato il suo dialogo di scena, il numero studiato, nel parlare per spiegare i manifesti come nient’altro di pii accorgimenti per attirare l’attenzione: ‘The Elephant Man non è qui per spaventarvi ma per illuminarvi’, informò la folla dell’ora di pranzo, aggiungendo prudentemente che nessuna donna in ‘delicato stato di salute’ dovrebbe entrare nel negozio.
Non appena
ebbe radunato il pubblico e introdottolo all’interno, fece la sua introduzione,
modellata secondo una formula che poteva essere adattata ad ogni occasione e, sperando,
avrebbe prevenuto i commenti di qualsiasi artificiosa (nonché prevenuta)
intelligenza la qual poteva essere presente al numero convenuto & pattuito:
‘Signore e signori, in assenza del relatore, con
la vostra indulgenza, vorrei presentarvi il signor Joseph Merrick, l’Uomo
Elefante. Prima di farlo vi chiedo per favore di prepararvi: preparatevi ad
assistere a un Essere - mezzo uomo e mezzo elefante - che è probabilmente l’esemplare
più straordinario che abbia mai ispirato - seppur rifiutato - dalla Natura
medesima di altrettanti Esseri suoi consimili più umani o disumani, il dubbio
rimane e impera sovrano…
a voi la scelta’.
Quando poi
scostò le tende per rivelare Joseph su un palco basso, notò il sussulto di
orrore che percorse il gruppo di spettatori. Così è stato ed è ancora in ogni
occasione. Né era insolito per uno o più degli stessi del pubblico che se ne
andrà frettolosamente a questo punto del programma, oppure lo ammirava e
desiderava…, mentre Tom Norman continuava:
‘Signore e signori, vi chiedo per favore di non disprezzare o condannare quest’uomo a causa della suo carattere insolito o per la sua deformità che è anche la nostra nel giudicarlo. Ricorda che non lo facciamo per nostro tornaconto, e se tu ferisci Joseph, lui sanguinerebbe, e quel sangue sarebbe rosso, uguale al tuo o al mio’.
Tom Norman
era fermamente convinto che in nessun momento avrebbe trattato Joseph come un ‘animale
selvatico’, come lasciava intendere Treves. Egli ha sottolineato che non
sarebbe stato né nella sua natura né nel suo interesse farlo. Secondo la sua
esperienza, la maggioranza degli avventori dello spettacolo risposte con un
certo grado di pietà e simpatia dopo lo shock iniziale.
‘Se avessi tentato di essere duro con lui, ben
presto lo spettacolo sarebbe naufragato, e io con lui e non possiamo
permettercelo’.
(ispirato da: MICHAEL
HOELL & PETER FORD)
Nessun commento:
Posta un commento