giovedì 2 maggio 2024

UN NUMERO DA CIRCO

 








Prosegue con 


il Capitolo 


al completo!






Ecco a Voi, Signore & Signori i numeri del Circo!

 

Ecco a Voi giocolieri acrobati e trampolieri danzanti, accompagnati da bestie cavalli & cammelli incrociati con altolocati prestigiosi e mai visti somari: Fiere con il loro e altrui numero preferito: promettiamo ritmi &d evolute contorsioni nonché bestie mai viste né udite; accompagnate da altrettante acrobatiche giostrate artificiose Intelligenze, sospese nel vuoto del numero preferito.

 

Accorrete popolani & smarriti viandanti, seppur ben nutriti e in facoltà del potere dell’abito di scena, seppur invalidati (non men dell’elefante) muti ciechi e sordi dall’inalata musica del rumoroso progresso, non men che ubriachi di dolore, - & o – molesti molestatori molestati dalla febbre del sabato sera, ponete l’accompagnata promessa alla X preferita della giostrata Compagnia lanciata dalla piattaforma pattuita, deponete l’abdicata Corona, al resto pensiamo noi nel donarvi quanto la Natura dello spettacolo vi ha privato & mai concesso - seppur ammessi alla Fiera del successo - con promessa di non farvi mai più ritorno -, da ogni lato della luminosa Vetrina con il numero da circo promesso!

 

Il ritmo assicurato nel numero preferito, godetevi lo spettacolo dell’acrobata lanciato dal palco dalla donna cannone!



& solo allorquando il macellaio ‘mani di seta’ reclama la sua Dèa preferita inciampando dall’ammiraglia della prestigiosa corrazzata non ancor del tutto affondata, mentre la bestia serve la platea al numero pattuito acclamata senza prefisso & preavviso danzare nel ventre della balena (il noto ritmo numerato dell’algoritmo), avvisterete nella melma Giona proclamare Diritto di replica prima e dopo l’imbarco previsto dell’ugual medesima… messa in scena.

 

Il ritmo si fa serio & frenetico mentre il Titanic(o) avvenimento prende il sopravvento: danza anche lui, dalla stiva alla platea, in attesa dell’iceberg (come della Balena) non pattuito seppur gradito, con aggrappato un fiero orso - né visto né udito - per il fossile dell’Ammiraglio, successivamente rivenduto dall’uno all’altro polo assetato di più saggio gasato petrolio prestato dal numero della più prestigiosa Compagnia soprannominata…

 

Donna Cannone...

 

L’oracolo del Tempo come della Storia intrattiene la danza nel ventre della bestia domata e non ancor digerita, in attesa incestuosa del clown per l’applauso unanime a scena aperta del populista rivenduto & successivamente accreditato apprendista da Circo acrobatico, o baraccone con promessa di più nobile fiera, per la storica nuova o antica ed altrettanto acrobatica acrobazia del numero preferito!

 

Ogni artificiosa intelligenza ha il suo Profeta!




Il numero preferito fuori o dentro la gabbia incanta e allieta ogni ‘putto’ credendosi bambino; ovvero ogni Pinocchio in attesa di divenire uomo al canone pattuito: quando s’illumina lo sguardo al ‘numero’ convenuto e prefissato nonché pre-pagato, decolla il profilo da fiera e più nobile Vista (aggiornata) ripescata in un mare d’oceano senza frontiera alcuna, solo qualche pirata fa la sua antica scomparsa & la risata prende il sopravvento: ride di gusto nell’inciampo dell’acrobata saltato in padella nel numero preferito del cerchio di MangiaFuoco in cui - Ognuno Nessuno escluso - dalla Rete d’un più nobile e globale unanime commercio… affogato in una inaspettata risata da Fiera.

 

L’uomo Elefante ingaggiato dall’ignota Compagnia intrattiene la folla in attesa della propria e altrui Storia, il suo un numero terribile e più che temuto alla Vista d’Ognuno!

 

Il popolo lo odia e ama in qual-tempo alternato dal fossile antico e senza più tempo di non-ritorno, alla pattuita concordata rata del promosso progresso nella disgiunta Memoria di cosa sia medesima facoltà iscritta per l’abdicata dismessa Storia d’un Giga byte di nano-Secondo, circoscritto & diluito al cortile d’una facoltà ove il numero attende l’acrobatico torna-conto di più pura inviolata decenza.

 

Ogni Intelligenza ne abbisogna!




L’Uomo Elefante intrattiene la folla, il suo un numero terribile alla vista d’Ognuno Nessuno escluso, lo abbiamo detto & lo ripetiamo dagli isolati eroi di Omero, viene mostrato negli intervalli dei tempi supplementari delle pause concordate della Compagnia del commercio, in attesa del nano, il giudice amico che reclama il numero della bestia con più elevato indice di gradimento alla cas(s)a d’appuntamenti convenuta, il gorilla farà la sua comparsa & allieterà la folla per ogni cespuglio e giardino la cui Vista non più gradita, il nano come il freak d’una diversa avventura transitata…

 

Anche la genetica è una scienza più che accreditata!   

 

L’Intelligenza s’aggruma sofferta sofferente & ulcerata diligente & in perenne diligenza mentre Viaggia & naviga per future colonie da sbarco fondare il proprio & altrui Impero, posto nella conseguente difficile scelta dell’equilibrista, alla sinistra della tenda, vuol più spazio dalla destra con maggior Vista. Seppure il suo un numero con l’ideale d’una vecchia scrittura da teatro, il camminare o inciampare su ugual filo che scorre all’algo-ritmo convenuto, nasconde e cela il segreto della rete dell’illusionista che appena si intravede nella dottrina dell’antica prospettiva di ugual scena.

 

Dietro le quinte per medesimo colpo di Scena o di Stato non regna gran differenza!

 

Discuteranno in seguito senza seguito di medesima Storia al numero concordato per ogni bestia alla statistica della più nota Borsa della Compagnia nella ristretta cerchia d’un circo…




La futura Dèa recita il copione concordato e annunzia cum magno gaudio l’Uomo Elefante il mostro preferito…

 

Il popolo accorre e accalca con ugual medesima mostruosità il numero preferito…           

 


L’UOMO ELEFANTE

 

 

Quando, verso la fine di novembre del 1884, l’Uomo Elefante apparve come dal nulla in un negozio di Whitechapel Road a Londra, era ancora agli inizi della sua carriera da mostro professionista. Il suo vero nome, come testimonia il suo certificato di nascita, era Joseph Carey Merrick, e il suo manager a quel tempo era Mr Tom Norman, uno showman specializzato nell’esposizione di fenomeni da baraccone e novità. Il negozio assunto per la sua mostra era allora numerato 123 Whitechapel Road.

 

Direttamente dall’altra parte della strada rispetto alla fila di negozi, dall’altra parte dell’ampia arteria, si trova l’imponente ingresso del London Hospital. L’attuale facciata risale infatti ad una ristrutturazione effettuata nel 1891. Negli anni ottanta dell’Ottocento l’ospedale presentava una lunga e imponente facciata classica, ben arretrata dietro la ringhiera e con le portinerie all’ingresso principale.

 

L’intero effetto è stato progettato per ispirare fiducia nelle capacità della scienza medica e una misura di adeguato rispetto tra gli abitanti del distretto. Era il segno esteriore e visibile di benevolenza e carità autoritarie in un’area che per molti decenni aveva sperimentato un’intima connessione con deprivazione e povertà: un’area in cui ondate successive di immigrati squattrinati si stabilirono accanto alle comunità originarie dei poveri di Londra; coloro che, secondo la definizione del grande pioniere vittoriano della ricerca sociale, Henry Mayhew, ‘lavoreranno, non potranno lavorare e non lavoreranno’.




In un quartiere del genere quindi Joseph Merrick finì per cadere sotto le cure di Tom Norman, nella speranza che l’impatto di Elephant Man su Londra sarebbe stato vantaggioso per entrambi. Fuori dai locali, dall’altra parte del negozio davanti, lasciando libera solo la porta, l’uomo di spettacolo appese un grande lenzuolo di tela dipinto con l’immagine sorprendente di un uomo a metà del processo di trasformazione in un elefante e annunciando che lo stesso sarebbe stato visto all’interno per il prezzo d’ingresso di due pence.

 

Se l’arte era rozza e i colori sgargianti per un gusto sofisticato, il poster evidentemente aveva l’effetto sensazionale desiderato. Un giovane chirurgo del London Hospital, il signor Frederick Treves, che visitò il freakshow, ricordava il poster in ogni vivido dettaglio quando arrivò a scriverne circa quarant’anni dopo.

 

Questa produzione molto cruda raffigurava una creatura spaventosa che sarebbe potuta essere possibile solo in un incubo. Era la figura di un uomo con le caratteristiche di un elefante. La trasfigurazione non era molto avanzata. C’era ancora più dell’uomo che della bestia. Questo fatto – che fosse ancora umano – era l’attributo più repellente della creatura. Non c’era nulla in esso della pietosità della deformità o del deforme, nulla del grottesco del mostro, ma semplicemente l’insinuazione ripugnante di un uomo trasformato in un animale.





Alcune palme sullo sfondo dell’immagine suggerivano una giungla e avrebbero potuto indurre la fantasia a supporre che proprio in quella natura selvaggia si fosse aggirato l’oggetto perverso.

 

Qualunque cosa potesse indurre il povero Merrick ad assomigliare a un elefante, nel presentarlo come un mostro, il signor Norman stava seguendo un’antica tradizione le cui radici affondavano molto indietro nella storia delle fiere e dei circhi in Inghilterra. Londra in particolare era nota per il suo insaziabile appetito per i mostri almeno fin dai tempi di Elisabetta I.

 

Come affermò Henry Morley nelle sue Memorie di Bartholomeo Fair, non era semplicemente la folla comune a cercare una formidabile dieta di segni e prodigi, sostenendo le mode popolari nel grottesco. Tutti nella società, fino all’ideale della testa coronata, ‘condiviso nei gusti... per uomini che sapessero danzare senza gambe, nani, giganti, ermafroditi o ragazzi squamosi’.

 

Prosegue commentando, scrivendo il suo libro alla fine degli anni ’50 dell’Ottocento:

 

‘Il gusto permane ancora tra le persone incolte dei ranghi più alti e più bassi della vita, ma durante il regno di Guglielmo e Maria, o della Regina Anna, era quasi universale. La Fiera di Bartolomeo, con tutti i prodigi in essa esibiti, non era come sarebbe adesso, un’esposizione annuale di cose difficilmente visibili fuori da una fiera, ma era, per quanto riguardava i Mostri, solo una concentrazione annuale in un punto della fiera divertimenti che altre volte erano sparsi per la città e per la campagna’.





La carriera medica di Treves, il chirurgo che lo aveva diciamo così scoperto nel suo numero da Circo, fin dall’inizio è stata associata al London Hospital. Era arrivato come studente di medicina nel 1871, era diventato assistente chirurgo nel 1879 ed era stato nominato chirurgo a pieno titolo proprio in quell’anno 1884. Sebbene avesse solo trentuno anni, la sua esperienza della spaventosa gamma di orrori fisici e lesioni che probabilmente sarebbero state ammessi in una fondazione che esisteva per curare i mali di un’area che ospitava alcune delle peggiori baraccopoli d’Europa deve essere stato considerevole.

 

Sarebbe stato ragionevole aspettarsi che fosse a prova di shock, con il naso abituato a odori come la cancrena, gli occhi abituati alle terribili lesioni facciali che potevano derivare da una rissa con bottiglie rotte in qualsiasi pub di Londra il sabato sera. Da quello che dice e dirà ancora è tuttavia chiaro che fu scosso dalla prima occhiata a Joseph Merrick; forse anche colto di sorpresa dalla  repulsione per il fetore disgustoso emanato dal corpo di Merrick, riassunse la sua reazione iniziale in una frase memorabile: che Merrick gli sembrava…

 

‘l’esemplare più disgustoso dell’umanità non avevo mai incontrato una versione così degradata o perversa di un essere umano’,

 

…scrisse Treves,

 

‘così come si mostrava questa figura solitaria’.

 

Mentre Treves lo fissava, l’Uomo Elefante cominciò a girarsi lentamente in modo che il suo visitatore potesse vederlo da tutte le angolazioni.




Il movimento risvegliò gli istinti clinici del chirurgo e si accorse che la sfortunata creatura mostrava segni di trascorsa sofferenza in qualche èra della vita dovuta ad una malattia all’anca sinistra; lo aveva reso zoppo tanto che aveva bisogno di appoggiarsi a un bastone. Con il ritorno dell’abitudine al distacco scientifico, Treves cominciò a fare osservazioni precise. Laddove si era aspettato di vedere una figura allo stesso tempo mostruosa e grande, l’Elephant Man era di corporatura piuttosto esile, forse solo poco più di un metro e mezzo di altezza.

 

La parte superiore del suo corpo era nuda fino alla vita, la metà inferiore era vestita con un paio di pantaloni logori che sembravano essere ‘appartenuti al vestito di un grasso gentiluomo’. Anche i piedi erano nudi, e la sua zoppia divenne evidente mentre stava lì, il corpo leggermente inclinato a sinistra, la schiena contorta e piegata.

 

Più di ogni altra cosa, è stata la testa a creare un’impressione così sorprendente. Sembrava davvero enorme, al di là delle più fantasiose aspettative di Treves: una massa deforme di grumi ossei e escrescenze cutanee simili a cavolfiori. Aveva la circonferenza della vita di un uomo e la fronte era sfigurata da protuberanze di materiale osseo che sporgevano in avanti in grandi rigonfiamenti, conferendogli l’aspetto di una pagnotta di pane adagiata su un fianco. La protuberanza più grande premeva sul sopracciglio destro, tanto che l’occhio su quel lato del viso era quasi nascosto.




La metà inferiore del viso era essa stessa compressa e deformata da un rigonfiamento della guancia destra, dove una massa di carne rosa sporgeva dalla bocca, costringendo le labbra a piegarsi invertite. Qui era evidentemente l’origine del ‘tronco’ che il cartellonista aveva rappresentato così graficamente, anche se con una certa licenza artistica per esaltarne la somiglianza con l’anatomia di un elefante. C’erano altre masse ossee presenti sulla parte superiore e laterale del cranio, ma in queste aree era la pelle a dominare, la carne era sollevata in pesanti escrescenze a forma di cavolfiore che pendevano ai lati e dietro la testa.

 

Il corpo di Merrick non è stato in alcun modo risparmiato. Masse di simili escrescenze pendule di pelle pendevano dal petto e dalla schiena. Altrove sembrava che la pelle fosse ricoperta di sottili verruche. Il braccio destro era di dimensioni enormi e praticamente informe, la mano destra era ‘grande e goffa: una pinna o una pagaia piuttosto che una mano... Il pollice aveva l’aspetto di un ravanello, mentre le dita avrebbero potuto essere spesse radici tuberose’.

 

Era impossibile immaginare che un simile arto potesse essere di grande utilità per il suo proprietario. Al contrario, il braccio sinistro e la mano sembravano del tutto normali, addirittura delicati e femminili nella loro raffinatezza. I piedi, per quanto Treves riuscì a vedere, erano informi e deformati quanto il grosso destro braccio.

 

A Treves sembrava che lo showman non fosse in grado o non volesse fornire più delle informazioni più rudimentali sulla sua accusa: che era nato inglese, che aveva ventun anni e che il suo nome, Treves affermò di avergli detto, era John Merrick. Da parte sua, Treves provava un frustrante sconcerto di fronte alle malformazioni che si trovava a osservare. Non era assolutamente in grado di spiegare quella condizione, di appuntarvi alcuna etichetta di diagnosi medica o di ricordare di aver mai incontrato qualcosa di lontanamente simile nell’esperienza professionale o nella formazione teorica.  





LA FIERA 


 

Un articolo anonimo su Elephant Man apparso sull’Illustrated Leicester Chronicle il 27 dicembre 1930, chiaramente basato sulla conoscenza delle circostanze della famiglia Merrick, afferma che Mary Jane era lei stessa una storpia. È nata nel piccolo villaggio di Evington, nella periferia sud-orientale di Leicester, terza figlia di una famiglia di nove persone. I suoi genitori, William ed Elizabeth Potterton, erano normali persone di campagna. In effetti, suo padre, un bracciante agricolo, non sapeva scrivere il proprio nome, ma i Potterton si comportarono bene con i loro figli, permettendo loro di frequentare la scuola finché non avessero ricevuto almeno un'istruzione di base.

 

Il Leicester Journal del 9 maggio 1862 conteneva il seguente annuncio:

 

‘Si comunica che il prossimo Mese, ovvero, Lunedì 12 maggio si terrà la FIERA per la vendita di cavalli, bestie e pecore, e martedì, il 13 e i giorni successivi per la vendita del formaggio. Per ordine, Saul Stone, segretario comunale. N.B. Nessun carro del formaggio potrà entrare nella piazza del mercato tranne che da Hotel Street’.

 

Il giorno successivo il Leicester Chronicle ripeté doverosamente l’avviso.

 

C’erano fiere a Leicester sin dal XIII secolo. Le date delle fiere e delle feste che celebravano erano variate nel corso degli anni, ma gradualmente si unirono nelle due grandi fiere annuali della città. Il primo si teneva ogni anno all’inizio di maggio, al momento dell’Invenzione della Croce; la seconda all’inizio di ottobre.




Prima della loro interruzione nel 1902, erano tra le più grandi fiere popolari della Gran Bretagna. La gente si riversava in città dai villaggi e dai paesi vicini per comprare e vendere nei mercati, assumere dipendenti e personale domestico e valutare la qualità e i prezzi di bovini e cavalli. Rifornirono le scorte delle fattorie per altri sei mesi, scambiarono notizie domestiche con i vicini, comprarono vestiti e si meravigliarono delle nuove mode, si fecero strada tra le bancarelle e finirono per divertirsi con le sciocchezze della fiera del piacere.

 

Per i cittadini di Leicester le fiere furono una più che  attrattiva economica bensì una vera e propria benedizione, poiché le strade e le arterie principali furono bloccate da bancarelle e folle sempre in aumento. I filatori di cotone che si affrettavano la mattina presto verso le piccole fabbriche e i mulini trovavano le loro strade bloccate dal bestiame che veniva portato al mercato nel centro della città. Per due giorni le strade divennero sporche e insidiose. Come osservò il dottor John Barclay di Leicester in una conferenza tenuta nel 1864:

 

‘Che il mercato del bestiame sia una seccatura terribile nessuno, credo, lo negherà. Sono sicuro che nessuno dirà una parola a sostegno di ciò poiché dovrà barricare le proprie porte contro i luridi accumuli che fanno sembrare e puzzare le strade come una stalla per un paio di giorni. Nella mia parte della città siamo piuttosto bloccati…’.




Il giorno successivo alla fine della vendita del bestiame, il pollame arrivò in città, rumoroso e stipato sul retro di un centinaio di carri. Poi ci sarebbe stata una giornata di relativa pace e pulizia mentre la fiera del formaggio prendeva il sopravvento. Da ogni masseria e da ogni caseificio venivano portati i grandi formaggi, adagiati sulla paglia fresca sul fondo dei carri. Da un capo all’altro della città i carri, con i cavalli sciolti, stavano addossati ai marciapiedi, con le sponde abbassate per esporre i formaggi ai passanti.

 

Negozianti e casalinghe si muovevano lungo la strada, assaggiando campioni prima di acquistare. I formaggi migliori andavano rapidamente ai grandi fruttivendoli; quando si accendevano le lampade a gas all’imbrunire restavano solo i formaggi più scadenti.

 

Nel frattempo, mentre le fiere commerciali procedevano, Humberstonegate, essendo una delle vie più ampie della città, fu riservata alla grande fiera del piacere e dei divertimenti. Ai lati della strada erano allineate bancarelle e scaffali, e dove la strada si allargava nella sua parte più ampia c’erano altalene e giostre; cabine teatrali e marionette; spettacoli da baraccone, mangiatori di spade e giocolieri; bancarelle per la vendita di dolciumi, pasticcini e medicinali brevettati.




La signora IC Ellis, nella sua raccolta di reminiscenze, Leicester del XIX secolo, lo ricordava così:

 

‘La fiera di Humberstonegate era uno scorcio di paradiso. È stata una gioia mai dimenticata andare sulle rotatorie anche se non ci siamo mai avventurati sulle altalene. Lo spettacolo delle bestie selvagge ruggiva e puzzava come nient’altro al mondo, ma la cosa più delicata e adorabile era lo spettacolo delle marionette. Siamo stati portati giù dai bazar –  ed erano molto belle le bancarelle – una lunga fila di tende con merci tutte su un lato… C’erano show con ballerini in calzamaglia che si esibivano su una piattaforma – questi spettacoli accompagnati da nostro padre e un altro parente noi tutti evitavamo, ma le marionette ci era permesso vedere… Noi andati ai posti anteriori e solo dopo aver  pagato il biglietto ci sedemmo, il proprietario aprì la parte anteriore della tenda e mostrò al suo rispettabile pubblico, e gridò di nuovo: “Due penny dentro dalla porta laterale, un penny dentro davanti” ’.

 

Nel suo rapporto sulla fiera del piacere del 1862, il Leicester Journal è riuscito a trasmettere l’aura generale di eccitazione:

 

‘Giganti, discendenti in linea diretta dagli Anakim dell’antichità; uomini di caucciù & acrobati; vengono presentate meraviglie di ogni descrizione nella natura animata e novità sorprendenti dell’arte freak. Si dice che l’immagine di un maiale mostruoso, esposta all’esterno di uno stand, abbia la sua controparte vivente perfetta che pesa diverse tonnellate all’interno. In un altro stand risiede una mucca, le cui zampe posteriori sono adornate da una zampa in più, che secondo il proprietario, è destinata espressamente per grattarsi il naso’.

 

Il Leicester Chronicle, riprendendo il tema, adottò un tono più sprezzante:

 

‘Nonostante le forti piogge e le attrazioni un po’ limitate... è stato visitato da un gran numero di contadini durante la settimana... C’era un nuovo circo, quello di Croueste, che mostrava allo sguardo ammirato dei giovani una serie di vignette colorate, rappresentanti cavalieri in ogni sorta di atteggiamenti impossibili; e una cabina teatrale fatiscente, con attori e attrici, i cui abiti erano in mirabile armonia con l’aspetto desolato dell’edificio. Un maiale gigante, una mucca a tre zampe, alcune barche a dondolo dall’aspetto sporco e traballante, rotatorie davvero eccezionali, bancarelle per nick-nack e gallerie di fucili - costituivano un raduno piuttosto eterogeneo di commercianti peripatetici’.




Eppure questo paragrafo continua con quello che, dal punto di vista del presente resoconto, è un frammento di informazione intrigante:

 

La caratteristica principale è stata, ovviamente, il serraglio di Wombwell...

 

Lo spettacolo delle bestie selvagge difficilmente poteva deludere. Le collezioni permanenti di animali erano ancora estremamente rare, quindi l’unica opportunità che la maggior parte delle persone aveva di vedere esemplari zoologici esotici era offerta dai serragli itineranti. C’erano nel paese diverse aziende in viaggio ogni anno, tra cui Atkins’s e Sedgwick’s, ma la più famosa negli annali della storia delle fiere era la Royal Menagerie di Wombwell.

 

Nel 1862, quando Wombwell’s era in viaggio a Leicester per la fiera di maggio a Humberstonegate, il suo fondatore era morto da una dozzina di anni e l’azienda principale era sotto la gestione della sua vedova. Il tour che portò all’arrivo del serraglio in città seguì, tuttavia, uno schema consolidato da tempo. Per prima cosa arrivarono gli agenti di zona per prenotare il sito, organizzare i rifornimenti d’acqua e le stalle, acquistare mais e foraggio. I tipografi furono incaricati di stampare volantini, affissi manifesti sui muri e inseriti annunci sulle prime pagine dei giornali locali le cui colonne interne riportavano notizie della guerra civile americana.




Finalmente, il primo giorno di fiera, la città si ritrovò svegliata alle sette del mattino dal tintinnio e dallo scuotimento di una colonna di pesanti carri che procedeva per le strade. Il convoglio era composto dalle carovane per gli alloggi, dai carri per le provviste e da diciassette o diciotto carri bestiari. Questi ultimi, essendo gabbie, erano alti otto piedi e larghi e lunghi fino a diciotto piedi, i loro occupanti erano nascosti da grandi persiane, le loro ruote cerchiate di ferro e rumorose.

 

Ogni carro era trainato da una pariglia di quattro cavalli shire che si sforzavano davanti a ciascuno, con gli zoccoli che scivolavano e scintillavano sull’acciottolato; e marciando tra i carri, a volte attaccati all’uno o all’altro dei veicoli più grandi, camminavano elefanti e cammelli.

 

Una volta a Humberstonegate, tra grida e spinte di cavalli, i carri furono predisposti per formare un quadrato. Tre lati erano formati dai carri stessi. Il quarto era costituito dall’alta facciata in legno che costituiva il fronte dello spettacolo. Era decorato con finti pilastri di legno e pannelli dipinti raffiguranti bestie infuriate che duellavano in giungle impossibili mentre uomini, magnifici nel coraggio a torso nudo, lottavano con feroci leoni.

 

Al centro della facciata c’era la cassa, appollaiata in alto su una piccola piattaforma, e la piazza, una volta completata, era coperta da teli tesi da carro a carro. Infine, all’interno della piazza, le saracinesche gialle dei carri sarebbero state abbassate sui cardini per mascherare le ruote e mostrare le bestie all’interno.




Legati qua e là in piccoli gruppi c’erano lama, cammelli e altre creature, si spera, acquiescenti. Nelle gabbie intorno alla piazza c’erano lupi e leopardi, orsi, scimmie, zebre, piccole antilopi, pappagalli e pellicani.

 

Potevano esserci anche tigri e pantere, anche se trattasi di bestie piuttosto insolite, poiché gli showmen trovano le tigri imprevedibili e difficili da addestrare. Due delle gabbie erano per i leoni. In questi un domatore di leoni si trovava faccia a faccia con due o tre grandi felini, facendoli posare, saltare attraverso i cerchi, sdraiarsi e stare in piedi per comandare. Ma se i leoni regalavano emozioni, erano gli elefanti a conferire allo spettacolo un senso di solido merito.

 

La popolazione locale giudicava lo status di qualsiasi serraglio in base alle dimensioni e al numero dei suoi elefanti.

 

Ogni giorno a mezzogiorno era quindi consuetudine aprire i cancelli laterali del serraglio affinché gli elefanti potessero sfilare solennemente fuori e muoversi pesantemente per le strade come un’imponente pubblicità ambulante. Il loro corteo è stato uno dei momenti salienti della fiera del piacere, e il giornalista del Leicester Journal parlava a nome di molti quando lo riassumeva allegramente con la frase che Wombwell’s era qui ‘in tutto il suo splendore’.




I resoconti della stampa locale di Leicester del maggio 1862 non contengono alcuna menzione di una  sfortunata ragazza, storpia e incinta, che inciampò quando costretta dalla calca della folla sulla carreggiata davanti a un elefante in parata, cadde ma arrampicandosi riuscì a liberarsi, angosciata e molto scossa. Non vi è alcuna ragione per cui dovesse esserci una tale notizia, né alcuna ragione per cui qualcuno sarebbe dovuto venirne a conoscenza, a parte gli astanti. Eppure divenne un evento così inestricabilmente intrecciato alla leggenda dell’Uomo Elefante, un incidente così spesso menzionato da coloro che conoscono Joseph Merrick, che sarebbe irragionevole supporre che non sia mai accaduto.

 

Mary Jane Merrick diede alla luce il suo primo figlio tre mesi dopo la fiera di Humberstonegate! 

 


L’IMPRESARIO 

 

 

Per un certo periodo gli spettacoli di Tom Norman viaggiarono con successo di città in città e le sue memorie trasmettono un sapore vivido delle sue tournée. La prima esigenza era un adeguato “show shop”, preferibilmente nella via principale della città visitata. Di regola tali locali venivano affittati onestamente, ma se i tempi erano duri si poteva ottenere con l’astuzia l’uso di un negozio. Il modus operandi dello stratagemma è il seguente. A metà mattinata di sabato Tom Norman si rivolgeva a un agente immobiliare appropriato, affermando che stava agendo per una nuova società che intendeva aprire una catena di bazar alla moda. Esprimeva interesse per un negozio libero già assegnato e prendeva la chiave, promettendo di restituirla lunedì mattina.




& dato che la maggior parte degli agenti immobiliari avevano la propria casa in confortevoli e tranquilli sobborghi, non sapevano mai che non appena Tom Norman li aveva visti partire sani e salvi per tornare a casa verso mezzogiorno, si era trasferito nei locali vuoti.

 

In un batter d’occhio gli ‘oggetti di scena’ arrivarono su un carretto trainato da un vecchio uomo di colore, che in questo caso incarnava i colori dello spettacolo medesimo. Un grande telo di tela, ricoperto da un dipinto ad olio che aveva almeno una remota relazione con lo spettacolo che stava per essere allestito, veniva poi sospeso in alto sulla facciata dell’edificio mediante un sistema di pali e carrucole. Tom Norman di solito teneva in serbo diversi dipinti di questo tipo, con alternati internati diversi colori, pronti per essere adattati più praticamente a qualsiasi classe di mostro.

 

Durante i primi giorni nella colorita vita di Tom Norman, le torce a nafta venivano utilizzate fuori dai negozi adibiti agli spettacoli, ma quando questi si surriscaldavano, la nafta spesso cominciava a gocciolare sui marciapiedi per poi accendersi, diventando un pericolo per i passanti e innescando incendi fino ai più remoto boschi non lasciando scampo alla pagante platea convenuto per la il numero della bestia.

 

Tom sapeva come infiammare l’intera platea!

 

Successivamente adottò le lampade a paraffina, e quando non c’erano abbastanza soldi per comprare l’olio per le sei grandi lampade necessarie, l’uomo di colore veniva spedito nei negozi più vicini per mettere ‘tre quarti di paraffina’ in ciascuna lampada. L’uomo avrebbe detto al petroliere che le lampade erano ormai troppo pesanti per essere trasportate tutte in una volta, quindi ne avrebbe prese tre adesso e sarebbe tornato più tardi a prendere le altre.




Con le prime tre lampade si poté inaugurare la mostra. Non appena fosse stato preso abbastanza denaro, si sarebbero potuti mandare a prendere le restanti tre e saldare il conto.

 

Quando finalmente la mostra fu pronta a decollare, l’uomo nero, ora vestito di pelli e piume e con grandi anelli di tenda sulle mani e sulle gambe e un anello al naso, danzò sulla soglia del negozio, battendo un gong o un tamburo. Tom Norman animò ulteriormente l’allestimento raccontando storie di come questo anziano nativo una volta attraversò a nuoto il fiume Orange per salvare un gruppo di marinai naufraghi che altrimenti sarebbero andati perduti (era un elemento della storia che scartò frettolosamente quando un ascoltatore esperto - una persona del genere chiamata ‘Arca di Noè’ o ‘nark’ nel gergo degli uomini di spettacolo - lo informò che chiunque lo desiderasse avrebbe potuto guadare il fiume Orange senza bagnarsi le ginocchia).

 

Con le ‘esclamazioni, grida & racconti’ di Tom, raramente passava molto tempo prima che la strada fosse completamente bloccata dalla gente, e in alcune occasioni potevano esserci problemi riscontrati da parte dello sceriffo. Ma tali collaudati spettacoli erano uno prassi comune, e anche lo sceriffo lo era, e di solito si persuadeva facilmente a chiudere un occhio mentre prende l’abitudine di farsi un goccio la sera, solitamente subito prima di uscire dal servizio ove non èra mai arrivato.




Poi Tom Norman, sapendo cosa ci si aspettava, avrebbe versato il bobby sixpence per il suo disturbo – sempre in monete di rame, poiché pensava che in quella forma sembrasse una somma più grande.

 

Per tutto il sabato pomeriggio e sera lo spettacolo continuava, spesso rimanendo aperto fino a mezzanotte. Fu riaperto per un po’ di domenica, ma all’alba di lunedì gli oggetti di scena erano al sicuro sul carro e lo spettacolo scivolò silenziosamente fuori città. La chiave del negozio era stata infilata nella cassetta delle lettere dell’agente immobiliare con una nota di rammarico per il fatto che i locali risultassero inadatti allo scopo prefissato.

 

Gli stand esposti da Tom Norman cambiavano frequentemente ed era disposto a allestire quasi tutti gli spettacoli. Le novità da lui promosse includevano pulci in imbracatura, donne grasse, bambini giganti, uomini alti, uomini bassi. Per un ‘Savage Zulù Show’ reclutò i suoi selvaggi tra le fila dei marinai in pensione che vivevano dalle ‘remote’ profondità della Ratcliffe Highway.

 

Tali spettacoli erano, ovviamente, abbastanza comuni nei quartieri fieristici, e deve essere stato uno molto simile a quello di Tom Norman che sicuramente mise alla prova la pazienza dei cittadini di Northampton, stufi del frequente montaggio di intrattenimenti nella piazza del mercato. Il 4 giugno 1881, il Northampton Mercury registrò la sua denuncia:

 

‘Con il permesso del sindaco, il proprietario di qualsivoglia mostra può piantare la sua tenda sulla piazza in qualsiasi momento, e l’ultimo esempio del disagio di cui ci lamentiamo si è verificato martedì, quando alcuni Zulù si sono esibiti in un grande stand. Per quanto stimabili possano essere questi signori e signore in altri ambiti, in questo caso non si sono dimostrati vicini desiderabili’.




Durante la serata continuarono una sorta di canto gregoriano esagerato, con variazioni zulù, alternato alle note di un potente organo. Un gigante irlandese e un nano ugualmente irlandese, esposti insieme come ‘Le accidentali avversità iberniane’, costituivano un’altra  sorprendente attrazione. Tom Norman montava la classica illusione della testa parlante e, in un secondo momento, anche una dimostrazione ‘wireless’, in cui i clienti stavano ai lati della stanza ad ascoltare musica presumibilmente proveniente da Londra. In questo caso i momenti di forte disillusione erano un po’ troppo frequenti, come la puntina incastrata nel grammofono nel retrobottega.

 

Uno stand alla quale Tom Norman si affezionò particolarmente fu quello della ‘famiglia di nani’. Consisteva in due nani, considerati marito e moglie e sempre portati in città in una carrozza in miniatura appositamente costruita e trainata da pony. In ogni città del tour decise di chiudere lo spettacolo per alcuni giorni in modo da consentire alla nana di ‘dare alla luce il suo bambino’. Un neonato veniva quindi assunto per costituire l’annunziata prole, e dopo un simile ‘felice evento’ si formavano sempre code ancora più grandi per vedere il nuovo arrivato.

 

L’unico problema era la difficoltà che aveva nel trattenere la ‘madre’ dall’imprecare loquacemente, dal fumare la pipa e dal bere gin davanti ai clienti. Alla fine la ‘mostra’ finì in rovina quando la ‘madre’ scappò una notte, rifiutandosi di essere mostrata ancora come donna, poiché entrambi i nani erano uomini.




Ma le imprese di Tom Norman raramente fallivano del tutto. Divenne un maestro della trascorsa arte di attirare l’attenzione della folla con una versatilità di ‘acrobazie e acrobati’. Uno dei suoi espedienti preferiti era quello di annunciare illustri ospiti - e a questo punto invocava solitamente il nome di PT Barnum, americano titolare del ‘Il più grande spettacolo della Terra’.

 

Fu un trucco che tentò una volta di troppo.

 

Un pomeriggio all’Arcadia, tenutosi nella Royal Agricultural Hall di Islington, dichiarò coraggiosamente la sua solita affermazione, solo per scoprire di aver scatenato un’allegria sfrenata da parte di tre gentiluomini tra il pubblico. Dopo lo spettacolo, uno di loro si  rivelò niente meno che il grande showman stesso. Barnum allungò una mano per toccare le ‘mazzette’ di dollari d’argento messicani e americani che Tom Norman portava abitualmente appesi alla catena dell’orologio e disse ai suoi compagni con ironico divertimento:

 

‘Il Re d’Argento, eh?’

 

…la frase senza dubbio gli venne spontanea con evidente riferimento a Il Re d’Argento, il celebre melodramma e successo teatrale di Henry Arthur Jones e Henry Herman del 1882.




Fu sufficiente: in un momento di evidente imbarazzo ma Tom Norman riuscì a recuperare il trionfo. Mantenne il soprannome fino alla fine dei suoi giorni e rivendicò Barnum tra i suoi amici. Man mano che le sue imprese prosperavano, Tom trovò possibile trasferirsi in una sede permanente. Il primo negozio che acquistò era in Edgware Road, ma nel giro di sei mesi era proprietario di altri tredici negozi espositivi a Londra e dintorni.

 

Aveva un ‘prendisoldi’ e l’incaricato trascorreva il suo tempo andando di negozio in negozio per raccogliere gli incassi, osservare l’andamento delle varie esposizioni, apportare piccole modifiche alle mostre, e spostare le mostre tra i locali. Talvolta Tom era a corto di novità e ‘fenomeni’ adatti, e faceva di tutto per procurarsi nuovi pezzi dal vivo, spesso facendo un lungo viaggio in treno con la complicità di una mancia e una volta trovato un soggetto adatto da esporre, usava un’abile astuzia nell’approccio, magari impiegando diversi giorni a guadagnarsi la fiducia della persona interessata prima di fare una proposta.

 

Parlando dei soldi guadagnati dai suoi clienti, era incline a usare frasi come ‘importi da artisti famosi’ o ‘stipendi principeschi’, e affermava che pagava somme ‘che permettevano loro di godere di ogni ragionevole lusso in questa o altra esistenza in vita e successiva morte’. Se qualcuno gli rivolgeva l’accusa di sfruttare i suoi freak per profitto personale, si difendeva sottolineando che i suoi freak guadagnavano più di quanto potessero sperare con qualsiasi altro mezzo. Inoltre, finché restavano sotto la sua cura, non costituivano più un peso per i parenti e per la comunità.

 

Insisteva sul fatto che la loro vita da ‘artisti delle fiere’ era varia e interessante, mentre l’unica vera costrizione consisteva nell’essere rinchiusi nel noioso isolamento delle case di cura o presso inospitali  ospizi.




Nulla avrebbe mai potuto scuotere la propria e altrui convinzione che, per la maggior parte dei casi esposti, i suoi ‘mostri’, conducessero vite infelici e insoddisfatte, o che lui stesse offrendo loro una degradante prospettiva. Mentre la legge sui poveri rimaneva in vigore, aveva un punto a favore per il ruolo da ‘mostri da palcoscenico’ concesso loro a dispetto della più umiliante degradante povertà.

 

Fu durante il primo periodo in cui stava costruendo il suo piccolo impero di negozi fieristici a Londra che Tom Norman ricevette la proposta da ‘Little George’ di assumere la gestione londinese del giovane grottescamente deforme di Leicester noto come Elephant Man. A tempo convenuto & pattuito per la Campagna del grande show.

 

George Hitchcock e Joseph Merrick arrivarono a Londra un giovedì pomeriggio del novembre 1884, Tom Norman fu commosso nel vederli, anche se aveva replicato alla proposta dell’improvvisata Compagnia dei due venditori, promettendo una futura vetrina all’attico del suo negozio con tanto di insegna al neon di Whitechapel, la settimana successiva, nel caso in cui si fosse liberato un posto alle vetrine dei piani inferiori.

 

Nel frattempo, nel negozio di East India Docks Road, stava promuovendo una squadra di contorsionisti e acrobazie conosciuta come Dailo Sisters. Dovevano essere sostituiti dopo il fine settimana da un Professor Durland con i suoi ‘Man Fish’ e ‘Transparent Lady’ che erano l’attuale attrazione a Whitechapel.




Quando Tom Norman incontrò per la prima volta Joseph Merrick, lo vide indossare non lo sorprendente abbigliamento descritto da Treves, ma, più convenzionalmente, un lungo cappotto nero, un cappello di feltro nero e una sciarpa di lana che nascondeva la giacca e gran parte del suo volto. Il signor Hitchcock presentò informalmente l’Uomo Elefante come ‘Joe’, una familiarità che scosse subito la sensibilità di Tom Norman. Ma le sue apprensioni aumentarono fino allo sgomento quando Joseph si tolse il cappello e il cappotto e srotolò la sciarpa. Sebbene lo showman si considerasse abituato agli spettacoli più strani della natura, dovette confessare che la sua risposta inespressa quando vide Joseph per la prima volta fu:

 

Oh Dio!

 

Non posso usarti!

 

Eppure era già impegnato per contratto con gli showmen delle Midlands, e inoltre, notava una palpabile profondità di supplica e sofferenza negli occhi di Elephant Man.

 

Il consorzio di Leicester aveva già inviato una serie di ‘manifesti piuttosto rozzi raffiguranti alcuni mostri metà uomo e metà elefante che si scatenano nella giungla’. Tom Norman li considerava più un ostacolo che un aiuto, poiché Joseph era incapace di fare altro che una ‘camminata un po’ irregolare’. Ma i manifesti erano tutto ciò che avevano da appendere fuori dal negozio e suscitare interesse. C’erano anche circa mille copie di un opuscolo sui fenomeni da baraccone, da vendere a mezzo penny l’una, e il ricavato costituiva un contributo al reddito di Joseph.




Quando lo spettacolo aprì a mezzogiorno di lunedì, Tom Norman aveva già elaborato il suo dialogo di scena, il numero studiato, nel parlare per spiegare i manifesti come nient’altro di pii accorgimenti per attirare l’attenzione: ‘The Elephant Man non è qui per spaventarvi ma per illuminarvi’,  informò la folla dell’ora di pranzo, aggiungendo prudentemente che nessuna donna in ‘delicato stato di salute’ dovrebbe entrare nel negozio.

 

Non appena ebbe radunato il pubblico e introdottolo all’interno, fece la sua introduzione, modellata secondo una formula che poteva essere adattata ad ogni occasione e, sperando, avrebbe prevenuto i commenti di qualsiasi artificiosa (nonché prevenuta) intelligenza la qual poteva essere presente al numero convenuto & pattuito:

 

‘Signore e signori, in assenza del relatore, con la vostra indulgenza, vorrei presentarvi il signor Joseph Merrick, l’Uomo Elefante. Prima di farlo vi chiedo per favore di prepararvi: preparatevi ad assistere a un Essere - mezzo uomo e mezzo elefante - che è probabilmente l’esemplare più straordinario che abbia mai ispirato - seppur rifiutato - dalla Natura medesima di altrettanti Esseri suoi consimili più umani o disumani, il dubbio rimane e impera sovrano…

 

a voi la scelta’.

 

Quando poi scostò le tende per rivelare Joseph su un palco basso, notò il sussulto di orrore che percorse il gruppo di spettatori. Così è stato ed è ancora in ogni occasione. Né era insolito per uno o più degli stessi del pubblico che se ne andrà frettolosamente a questo punto del programma, oppure lo ammirava e desiderava…, mentre Tom Norman continuava:

 

‘Signore e signori, vi chiedo per favore di non disprezzare o condannare quest’uomo a causa della suo carattere insolito o per la sua deformità che è anche la nostra nel giudicarlo. Ricorda che non lo facciamo per nostro tornaconto, e se tu ferisci Joseph, lui sanguinerebbe, e quel sangue sarebbe rosso, uguale al tuo o al mio’. 

 

Tom Norman era fermamente convinto che in nessun momento avrebbe trattato Joseph come un ‘animale selvatico’, come lasciava intendere Treves. Egli ha sottolineato che non sarebbe stato né nella sua natura né nel suo interesse farlo. Secondo la sua esperienza, la maggioranza degli avventori dello spettacolo risposte con un certo grado di pietà e simpatia dopo lo shock iniziale.

 

‘Se avessi tentato di essere duro con lui, ben presto lo spettacolo sarebbe naufragato, e io con lui e non possiamo permettercelo’.

 

(ispirato da: MICHAEL HOELL & PETER FORD)






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