David Lazzari Presidente Nazionale Ordine Psicologi
Nell’etimologia
della parola diavolo c’è il concetto di separazione: è diabolico ciò che
impedisce di vedere l’unità delle cose, le relazioni, i collegamenti, gli
intrecci, che condanna le persone o le società a non avere una visione
d’insieme e quindi a non poter gestire la complessità.
Viene da
pensare che il nostro Paese sia vittima di questa situazione leggendo il
recente rapporto
ISTAT sullo stato dell’Italia. L’istituto di statistica sulla base dei dati
e delle proiezioni lancia l’allarme sulle prospettive, facendo anche il
confronto con gli altri Paesi europei.
Una analisi
che ha il pregio di collegare e far luce sui rapporti tra il benessere
soggettivo delle persone e lo sviluppo economico e sociale, temi che con grande
superficialità vengono trattati negli investimenti pubblici e nelle scelte
politiche come indipendenti e separati.
Ci dice
l’ISTAT che un giovane su due (fascia 18-34 anni) versa in condizioni di
vulnerabilità rispetto alle aree del benessere, che un giovane su cinque
(peggio solo la Romania) non studia e non lavora, che la formazione è un motore
che in gran parte gira a vuoto, che i giovani non hanno speranza nel futuro,
hanno un tasso di occupazione inferiore di 15 punti rispetto alla media
europea, che non fanno più figli (5 milioni di italiani in meno entro il 2050).
Il rapporto
ISTAT dice chiaramente che uno dei problemi è nei mancati investimenti in
Italia sulla promozione del benessere psicologico e indica la necessità di
utilizzare una quota dei 200 miliardi del PNRR per investimenti che
accompagnino e rafforzino il benessere dei giovani nelle diverse fasi dei
percorsi di vita, intervenendo sin dai primi anni.
Per mettere
le nuove generazioni in condizioni di affrontare positivamente i cambiamenti in
atto e per prevenire l’insorgenza di situazioni di disagio, evidenzia l’ISTAT,
è necessario garantire a tutti i bambini fin dalla nascita le condizioni per un
adeguato livello di sviluppo fisico, cognitivo, emotivo e relazionale.
Realizzare questo obiettivo utilizzando i servizi pubblici, la scuola, i
contesti comunitari, e garantendo equità di accesso in modo da ridurre
l’impatto delle condizioni dei contesti di appartenenza.
Lo sviluppo
non avviene “a prescindere”, sia quello fisico che quello psicologico, ha
bisogno di condizioni adeguate. L’influsso del contesto nell’infanzia e
nell’adolescenza ha un ruolo enorme nel condizionare il benessere e le
potenzialità future.
E cosa è
stato fatto sinora in Italia per dare condizioni minime di aiuto allo sviluppo
in modo equo? Veramente troppo poco. Basti pensare che l’unica misura pubblica
di aiuto psicologico alla popolazione, il bonus psicologico, ha visto la metà
delle richieste, 200 mila, concentrate nella fascia sino a 30 anni e solo 19
mila (neanche una su dieci) è stata accolta in base ai fondi disponibili.
Siamo un
Paese dove l’aiuto psicologico è riservato solo a chi può permetterselo e non
c’è nessuna politica di prevenzione ed empowerment nei percorsi di vita: la
scuola, i consultori, i servizi sociali, i centri formativi e per il lavoro
dovrebbero essere in grado di avere queste competenze e concorrere a questo
ruolo per le loro specificità.
Le analisi
dell’Istat mettono in luce un dato che la politica e le Istituzioni sinora non
hanno voluto vedere: il rapporto tra malessere e disagio psicologico, percorsi
e scelte di vita (o fughe dalla vita e non scelte), comportamenti positivi e
negativi.
L’intreccio
profondo e trascurato tra benessere psicologico, realizzazione personale e
capitale umano del Paese, tra psicologia ed economia. Certo non è l’unico tema,
ci mancherebbe, ma è un tema, e sinora troppo sottovalutato e non capito nei
suoi reali termini.
Come quando
si continua a legare gli aspetti psicologici solo alla dimensione
salute/malattia e non a quella più globale dello sviluppo umano e della partecipazione
delle persone alla vita sociale.
Una sfida
troppo grande? Esistono tante esperienze internazionali che ci dicono che si
può fare molto, e che la spesa in questo campo da dei ritorni economici molto
importanti. Se i dati, come ci chiede l’Istat, si vogliono vedere e non
ignorare.
(David Lazzari & i suoi libri)
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