martedì 28 marzo 2023

APPROFONDIMENTI, ovvero, LA STORIA SI RIPETE?

 








In riferimento 


al Fronte Occidentale 


per le successive 


Pagine di Storia






LA CASA DELLA LIBERTA’

 

 

Dopo cinque giorni di viaggio attraverso gli Urali, la famiglia e i trentanove membri del suo seguito si imbarcarono su un piroscafo a Tjumen, e passarono davanti alla casa di Rasputin a Pokrovskoe.

 

‘Si radunarono sul ponte per vedere la dimora dello starec’.

 

Le ragazze indossavano ancora medaglioni con il suo ritratto. Giunsero a Tobolsk l’indomani sera, e rimasero a bordo mentre veniva preparato per loro il palazzo a due piani del governatore rinominato ‘Casa della Libertà’. La famiglia si sistemò al primo piano, con le ragazze che condividevano una camera d’angolo, i genitori che avevano per sé una camera, uno studio, un salotto e un bagno, e Alessio e l’ex marinaio Nagornyj che dividevano una stanzetta.

 

A Pietrogrado, il 25 ottobre 1917, presero il potere i bolscevichi.

 

‘Una seconda rivoluzione’ scrisse tre giorni dopo l’ex zarina. I tedeschi avanzarono sulla Russia, e Lenin, il leader dei bolscevichi, decise immediatamente di ritirarsi dal conflitto, il che mandò su tutte le furie Nicola:

 

‘Come hanno potuto, quei mascalzoni, avere la sfrontatezza di portare avanti il loro sogno segreto di proporre la pace al nemico?’.

 

Ciò rafforzò la sua convinzione che esistesse una congiura ebraica su scala internazionale.

 

‘Ho iniziato a leggere a voce alta il libro di Nilus sull’Anticristo a cui si sono aggiunti i Protocolli degli ebrei e dei massoni (i Protocolli dei Savi di Sion ): una lettura assai attuale’.




Nello scrivere a sua sorella Ksenija, il 5 novembre, elencava una lista di rivoluzionari con il corrispettivo vero nome ebraico, sostenendo che Lenin fosse in realtà un Cederbljum e Trockij un Bronštejn. Sul secondo aveva ragione, mentre il primo era nato con il cognome Uljanov.

 

‘È peggio e più vergognoso’

 

…pensava

 

‘che al tempo dei Torbidi’.

 

Nel febbraio 1918 il gelo dei bolscevichi calò sulla famiglia. Le amichevoli guardie vennero sostituite da ‘una banda di giovanotti con l’aspetto di canaglie’. Il fragile regime di Lenin stentava a sopravvivere. Il commissario per gli Affari esteri Lev Trockij negoziò la pace, mentre l’esercito del Kaiser penetrava sempre più a fondo in territorio russo.

 

‘La madrepatria socialista è in pericolo’ avvertiva Lenin, e va difesa fino ‘all’ultima goccia di sangue’. I nemici andavano ‘fucilati sul posto’. Più aumentava la crisi del regime, maggiori erano i rischi per i Romanov.

 

Mentre Nicky e Alix corrispondevano con gli amici di Pietrogrado, come Anna, e con i familiari in Crimea, alcune fazioni bolsceviche tentarono di assaltare la Casa della Libertà per ucciderli.

 

Gli ufficiali zaristi escogitarono piani per salvarli. Ciò mise Lenin in allarme.




 Il 20 febbraio il Consiglio dei commissari del popolo, noto con l’acronimo di Sovnarkom e presieduto da Lenin, ordinò che Nicola venisse processato in una sede da stabilire. Filipp Gološčëkin, un ex dentista ora commissario militare del Comitato esecutivo del Soviet degli Urali, suggerì invece che i Romanov venissero trasferiti a Ekaterinburg, negli Urali.

 

Il 1° aprile Jakov Sverdlov, presidente del Comitato esecutivo centrale e segretario del partito, il principale accolito di Lenin, esile, bruno, con folti capelli neri, lenti rotonde e una voce profonda che gli era valsa il soprannome di ‘Tromba’, rafforzò il corpo di guardia a Tobolsk e decise di trasferire la famiglia a Mosca.

 

I bolscevichi avevano appena ristabilito il governo al Cremlino.

 

Lenin aveva intenzione di processare pubblicamente Nicola e Trockij si era proposto come pubblico ministero. Alcuni giorni dopo, Sverdlov mandò Vasilij Jakovlev, figlio di contadini e navigato rivoluzionario, al comando di un Distaccamento a destinazione speciale di centocinquanta Guardie Rosse, con l’incarico di trasferire

 

‘Nicola negli Urali. Riteniamo che per il momento dobbiate farlo stabilire a Ekaterinburg’.




I bolscevichi degli Urali erano in disaccordo quanto i vertici di Mosca su cosa fare del’ex zar, ma ben sapendo che alcuni degli elementi locali volevano ucciderlo immediatamente, Sverdlov specificò:

 

‘Il compito di Jakovlev è condurlo a Ekaterinburg vivo’

 

…per consegnarlo al quarantaduenne Gološčëkin, fidato membro del Comitato centrale nominato da lui e Lenin a capo degli Urali e noto come ‘l’occhio del Cremlino’.

 

Le loro più recondite intenzioni restano tuttora ignote. L’ipotesi più probabile è che volessero trasferire Nicola a Mosca ma, data la crisi, avessero scelto di parcheggiare ‘per il momento’ i Romanov a Ekaterinburg dove, nel dubbio, avrebbero anche potuto farli uccidere.

 

Lenin e Sverdlov non temevano uno spargimento di sangue.

 

Il nichilista Nečaev si era chiesto:

 

‘Che membro della dinastia reale va annientato? L’intera stirpe’.

 

E questa sua osservazione aveva deliziato Lenin:

 

‘È di una semplicità al limite del geniale’.

 

Era convinto che ‘una rivoluzione senza plotoni d’esecuzione è priva di senso’ e in un saggio del 1911 aveva sostenuto che

 

‘se in un paese colto come l’Inghilterra è necessario decapitare un solo criminale incoronato in Russia bisogna decapitare almeno un centinaio di Romanov’.




Lenin e Trockij avevano firmato a Brest-Litovsk un trattato di pace con la Germania che cedeva l’Ucraina e gli Stati del Baltico a dei regimi fantoccio, controllati dal trionfante Kaiser.

 

‘Immagino che vogliano costringermi a siglare l’accordo’

 

…disse Nicola.

 

‘Ma piuttosto mi farei tagliare una mano’.

 

…e Alessandra temeva che,

 

‘lasciato solo, farà qualcosa di stupido come già in passato. Se non ci sono io, possono convincerlo a fare ciò che vogliono’.

 

Alle otto e quaranta di mattina del 30 aprile giunsero nella stazione di Ekaterinburg dove una folla urlante  Impiccateli! li attendeva pronta a linciare lo zar. Jakovlev fece spianare i fucili e si rifiutò di consegnarli. Dopo tre ore di stallo Gološčëkin guidò un corteo per accompagnare il Bagaglio nella sua nuova residenza, un edificio confiscato a un ingegnere del posto, Nikolaj Ipatev, e ora rinominato Casa a destinazione speciale.

 

Intorno all’edificio avevano già costruito un’alta recinzione. All’arrivo, il 17 aprile, avevano dovuto subire una minuziosa perquisizione di tutti i loro bauli.




‘A quel punto sono sbottato’

 

…scrisse Nicola.

 

Rendendosi conto che stavano entrando in una nuova e pericolosa fase, Alessandra disegnò sul davanzale come portafortuna il suo segno talismano, la svastica.

 

Ne avrebbe avuto bisogno.

 

Alla stazione, il principe Valja Dolgorukij venne separato dal gruppo e in seguito arrestato: aveva con sé mappe e contante e chiaramente progettava una fuga della famiglia.

 

Il Soviet della regione degli Urali si rifiuta categoricamente di assumersi la responsabilità del trasferimento di Nicola Romanov alla volta di Mosca e ritiene necessario liquidarlo. Sussiste il grave pericolo che il cittadino Romanov possa cadere nelle mani dei cecoslovacchi e di altri controrivoluzionari. Non possiamo venir meno al nostro dovere nei confronti della Rivoluzione. La famiglia Romanov deve anch’essa venir liquidata.

 

Il 16 luglio, ‘mattinata grigia, più tardi un bel sole’, Alessio era ‘lievemente raffreddato’ scrisse Alessandra, ma ‘siamo tutti usciti per una mezz’ora’. Poi ‘io e Olga abbiamo sistemato i medicinali’, la frase in codice con cui si riferivano ai gioielli, che indica come fossero pronti a un trasferimento improvviso.

 

‘Il Comandante Bue [Jurovskij] entra nelle nostre stanze, almeno ha portato di nuovo delle uova per Baby’.




Jurovskij ordinò dalla rimessa militare un camioncino Fiat per trasportare i cadaveri. Alle sei meno dieci del pomeriggio Filipp Gološčëkin telegrafò a Lenin e Sverdlov a Mosca tramite Grigorij Zinovev, il capo del Soviet di Pietrogrado (perché le comunicazioni erano sempre meno affidabili):

 

‘Fate sapere a Mosca che per ragioni di ordine militare il processo concordato con Filipp [Gološčëkin] non può più essere rinviato. Non possiamo aspettare. Qualora foste di un avviso diverso notificatecelo immediatamente. Gološčëkin’.

 

‘Processo’ era il nome in codice per esecuzione; i destinatari del telegramma dimostravano che l’assassinio era stato discusso ai massimi vertici, e dal suo tono emerge come Mosca avesse lasciato a Ekaterinburg la facoltà di prendere la decisione finale. Jurovskij avrebbe ricordato che un telegramma del Centro aveva dato l’assenso, ma quel messaggio non è mai stato rinvenuto.

 

Gološčëkin e Beloborodov convocarono il terrificante Ermakov e gli annunciarono:

 

‘Siete un uomo fortunato. Siete stato scelto per giustiziarli e seppellirli in modo che nessuno possa mai più trovarne i corpi’.





ZAR ROSSI & BIANCHI

 

 

Quando dissero allo zarevič Alessio che il padre aveva abdicato, il ragazzo chiese: ‘Chi governerà la Russia?’.

 

Marx ha scritto che la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. È un’osservazione arguta, ma lontana dalla verità.

 

La storia non si ripete mai, piuttosto prende in prestito, ruba, riecheggia e requisisce ciò che è stato, in modo da creare un ibrido, qualcosa di unico che riunisca in sé gli elementi del passato e del presente. Dal 1917 in poi nessuno zar avrebbe più regnato sulla Russia, ma ognuno dei successori di Nicola, chiamati a governare lo stesso impero con molte delle medesime difficoltà in circostanze del tutto diverse, ha canalizzato, adattato e riplasmato il prestigio dei Romanov allo Zeitgeist del proprio tempo.

 

A Brest-Litovsk, Lenin aveva perso l’Ucraina, il Caucaso e molto altro. E senza l’Ucraina la Russia avrebbe cessato di essere una grande potenza. Alla fine, però, riuscì astutamente a ricomporre l’impero dei Romanov, perdendo solo la Finlandia, la Polonia e gli Stati del Baltico.

 

Lo stesso Stalin, mentre scavalcava i suoi rivali per succedere a Lenin, segretamente riteneva che la Russia avesse bisogno di uno zar: nell’aprile 1926 rifletteva che, malgrado il governo del partito,

 

‘la gente ne capiva ben poco. Per secoli, in Russia, la gente è stata soggetta a uno zar. I russi sono zaristi abituati al fatto che ci sia un capo. E ora dovrebbe essercene uno’.




Studiò in particolare Ivan il Terribile e Pietro il Grande.

 

‘Il popolo ha bisogno di uno zar’

 

disse negli anni Trenta.

 

‘Uno zar da adorare, uno zar per cui vivere e lavorare’.

 

Plasmò con cura la propria immagine per dare vita a un nuovo modello di zar, paterno e misterioso, industriale e urbano, capo di una missione internazionalista e al tempo stesso monarca di tutti i russi. Mentre i tedeschi avanzavano, nel 1941, studiò il 1812 e nel 1942-43 tirò fuori i ranghi, i galloni dorati e le spalline ed esaltò eroi dell’epoca zarista come Kutuzov e Suvorov. Il suo regime di terrore gli permise di attuare radicali inversioni di politica, come il patto con Hitler, di sopravvivere a colossali disastri autoinflitti e di costringere i russi a immani sacrifici.

 

La sua autorità personale, la sua violenza omicida, la sua propaganda marxista-nazionalista, l’industrializzazione sfrenata e l’economia del comando implicavano per lui la possibilità di poter sfruttare risorse che per Nicola sarebbero state inimmaginabili.

 

Stalin fu un tiranno sanguinario e l’esperienza sovietica una tragica distopia per i russi, eppure quell’uomo trascese gli zar, sconfisse la Germania e lasciò la Russia regista dell’Europa orientale e superpotenza nucleare.

 

Si paragonò sempre ai Romanov.




Nel 1945, quando l’ambasciatore americano Averell Harriman si congratulò con lui per la presa di Berlino, lui lo rimbeccò:

 

‘Sì, ma Alessandro I ce l’ha fatta con Parigi’.

 

Nel 1991 lo smembramento dell’Unione Sovietica corrispose anche al disintegrarsi dell’impero dei Romanov che Lenin e Stalin avevano tenuto insieme con astuzia e forza. L’autentica scaltrezza alla base della loro federazione delle quindici repubbliche aveva finito per ritorcersi contro quei marxisti imperialisti, dal momento che non c’era mai stata l’intenzione di rendere quelle repubbliche indipendenti. Ma Boris Eltsin, il nuovo leader della Federazione russa, aveva fatto leva sulle aspirazioni delle repubbliche per scalzare il presidente sovietico Michail Gorbačëv e smantellare l’URSS.

 

Milioni di russi si ritrovarono in nuove nazioni, mentre i sacri territori slavi l’Ucraina o la Crimea  venivano sacrificati sull’altare della Madre Patria. L’Occidente decadente e liberale osava spingere la propria influenza fino alle nuove repubbliche Ucraina, Georgia, Estonia proprio a ridosso dei confini della Russia.

 

Eltsin creò quella che sarebbe stata a eccezione delle elezioni abortite del 1917 la prima vera democrazia russa, con una stampa libera e un mercato libero. Al pari degli zar prima di Paolo I, fu lui stesso a scegliere il suo successore, Vladimir Putin, un ex colonnello del KGB convertitosi alla politica, per proteggere la sua famiglia e la sua eredità.




La prima missione di Putin fu quella di riaffermare la potenza della Russia sia in patria sia all’estero. Nel 2000 la sua guerra cecena fece in modo che la Federazione russa restasse unita. Nel 2008 un conflitto con la Georgia, una delle repubbliche più occidentalizzate, ristabilì l’egemonia russa sul Caucaso. Nel 2014 il tentativo da parte dell’Occidente di attrarre l’Ucraina nel proprio sistema economico ha indotto Putin ad approfittarne, avviando una guerra che gli ha consentito di appoggiare una lotta di secessione in Ucraina orientale e di annettere la Crimea, che egli considerava il ‘nostro Monte del Tempio’.

 

Ha chiamato la sua ideologia ‘democrazia sovrana’, con una chiara enfasi sul concetto di sovranità: il putinismo ha infatti fuso tra loro autoritarismo dei Romanov, sacralità ortodossa, nazionalismo russo, capitalismo clientelare, burocrazia sovietica e istituti della democrazia come elezioni e parlamenti. Se un’ideologia c’è stata, si è caratterizzata per l’acredine e il disprezzo nei confronti dell’America e per la nostalgia dell’Unione Sovietica e dell’impero dei Romanov, ma il suo spirito intrinseco era improntato al culto dell’autorità e al diritto di arricchirsi servendo lo Stato.

 

La missione slavofila di nazione ortodossa, superiore all’Occidente e di carattere eccezionale, ha rimpiazzato quella dell’internazionalismo marxista. Mentre il patriarca ortodosso Kirill ha definito Putin un ‘miracolo di Dio’ per la Russia, il presidente stesso vede nel ‘popolo russo il fulcro di un’opera di civilizzazione unica’.




Pietro il Grande e Stalin sono entrambi visti come gloriosi esempi di governanti russi. La Russia di oggi è erede di entrambi, una fusione di stalinismo imperiale e autoritarismo digitale tipico del XXI secolo, intralciata e corrotta dal suo capriccio personale, dall’atavica assenza di legalità, dalla paralisi economica e dalla corruzione elefantiaca, sebbene ammantata di modernità.

 

Guardando ai quattro secoli di storia russa è curioso notare come in Russia ogni periodo dei Torbidi 1610-13, 1917-18 e 1991-99 sia culminato in una nuova versione della vecchia autocrazia, agevolata dai costumi e dalle tradizioni del predecessore caduto, e giustificata dall’urgente necessità di ristabilire l’ordine, attuare una modernizzazione radicale e riguadagnare alla Russia il suo posto tra le grandi potenze.

 

Putin governa secondo lo schema dei Romanov: con l’autocrazia e il potere nelle mani di una minuscola cricca in cambio della garanzia di prosperità in patria e rispettabilità all’estero. Il conte Valuev, ministro di Alessandro II, ironizzava sul fatto che ci fosse ‘un che di erotico’ nelle avventure nelle lontane terre esotiche, e ciò vale certamente per gli exploit militari russi in Medio Oriente, uno spettacolo in termini televisivi. Ma come gli ultimi zar hanno scoperto a loro spese, la riuscita di questo azzardo dipende dal successo economico.

 

Al contrario degli zar, però, Putin ha dalla sua l’ultima risorsa delle armi nucleari.




Nel suo eccezionalismo russo, nel suo orgoglio imperialista, nel suo conservatorismo in patria, nel suo stile individualistico di governo, nel successo delle sue attività aggressive in ambito internazionale, Putin assomiglia moltissimo allo zar Nicola I con la sua politica di Ortodossia, Autocrazia, Nazionalità. Nei suoi venticinque anni di regno, anche Nicola dominò ed ebbe la meglio sulle potenze occidentali. Solo la guerra la disfatta in Crimea riuscì a fermarlo. Ma è con il padre di Nicola II, Alessandro III, il quale mise fine alla riforma liberale, che Putin più si identifica.

 

Gli oscuri intrallazzi di potere attorno a un unico uomo nel Cremlino del XXI secolo di certo richiamano quelli che coinvolsero gli imperatori dei Romanov.

 

Putin è senza dubbio un governante abile e opportunista, che ha posto di nuovo la Russia al centro della scena mondiale trascurando al contempo le riforme. La sua autocrazia gli consente, per la sua stessa natura, di prendere quel genere di decisioni rapide che oggi risultano impossibili nelle divise e tremebonde democrazie occidentali.

 

Tale tracotanza gli ha procurato l’ammirazione di quanti, in Occidente, si sentono frustrati dalla debolezza della democrazia: Donald Trump, vincitore nel 2016 delle elezioni presidenziali statunitensi che si autopromuove come una specie di zar americano, ha proclamato il proprio rispetto nei confronti di Putin per gli indiscutibili successi come leader mondiale e autocrate spietato. Entrambi si gloriano della propria concretezza, ma le realtà del potere potrebbero un giorno arrivare a testarne la stima reciproca.




Il suo entourage ha soprannominato Putin lo ‘zar’, ma non è il pensiero dei grandi Romanov a tenerlo sveglio la notte, quanto piuttosto il ricordo di Nicola II. Una sera, nel Palazzo di Novo-Ogarëvo, la sua residenza principale nei pressi di Mosca, Putin ha chiesto ai suoi seguaci chi fossero, a loro avviso, i ‘peggiori traditori’ della Russia. Prima che potessero rispondergli, li ha anticipati: ‘I peggiori criminali della nostra storia sono stati i deboli che hanno gettato il potere alle ortiche Nicola II e Michail Gorbačëv consentendo che se ne impadronissero isterici e folli’.

 

E ha concluso promettendo:

 

‘Io non abdicherò mai’.

 

I Romanov non ci sono più, ma le pastoie dell’autocrazia russa esistono tuttora. 

(S. Montefiore)

 




LA FRECCIA DEL TEMPO? (assenza di Filosofia dal Filosofo di Stato, ovvero nasce la QUARTA MARCIA…)

 

È assolutamente possibile che la Russia possa conoscere di nuovo il feudalesimo, o perfino una società in cui viga la schiavitù, o magari l’emersione di una società comunista o primordiale. Coloro che si burlano di queste ipotesi sono prigionieri della modernità ipnotica. Riconoscendo la reversibilità del tempo storico-politico, siamo approdati a un nuovo punto di vista pluralistico per la scienza politica, e abbiamo raggiunto la prospettiva avanzata necessaria per una nuova costruzione ideologica. 

 

La Quatta Teoria Politica è una teoria non moderna. Parafrasando Bruno Latour ‘Non siamo mai stati contemporanei’. Gli assiomi teorici della modernità sono innocui perché non possono essere realizzati nella realtà. In pratica, si negano da soli in maniera permanente e spettacolare.

 

La Quarta Teoria Politica scarta completamente l’idea dell’irreversibilità della storia. Questa idea era interessante in senso speculativo, come è stato argomentato da Georges Dumézil con il suo anti-evemerismo, nonché da Gilbert Durand.

 

Il tempo è un fenomeno sociale, le sue strutture non dipendono da caratteri oggettivi ma dall’influenza dominante sui paradigmi sociali, perché l’oggetto è assegnato dalla società stessa. Nella società moderna, il tempo è considerato irreversibile, progressivo e unidirezionale, ma ciò non è necessariamente vero all’interno di società che non accettano la modernità. In certe società, in cui manca una rigida visione moderna del tempo, esistono concezioni cicliche e perfino regressive del tempo.

 

Quindi, la storia politica è considerata dalla Quarta Teoria Politica nel contesto della topografia di una pluralità di concezioni del tempo.

 

Ci sono tante concezioni del tempo quante società.

 

La Quarta Teoria Politica non mette solo da parte il progresso e la modernizzazione, comunque. Questa teoria contempla un progresso e una modernizzazione relative, intimamente connesse con certe occasioni semantiche storiche, sociali e politiche del momento presente, come nella teoria occasionalista.

 

La Quarta Teoria Politica adotta un concetto di tempo reversibile correlato alle società. Nel contesto della modernità, ritornare da un momento storico a un momento storico precedente è impossibile, ma è possibile nel contesto della Quarta Teoria Politica.

 

La Quarta Teoria Politica adotta un concetto di tempo reversibile correlato alle società. Nel contesto della modernità, ritornare da un momento storico a un momento storico precedente è impossibile, ma è possibile nel contesto della Quarta Teoria Politica.

 

L’idea di Berdjaev del ‘Nuovo Medioevo’ è fondata, le società possono essere variamente costituite e trasformate. L’esperienza degli anni ’90 lo dimostra bene: il popolo dell’URSS era convinto che il socialismo si sarebbe originato dal capitalismo, e non viceversa, ma negli anni 90 si è verificato il contrario: il capitalismo ha seguito il socialismo.

 

È assolutamente possibile che la Russia possa conoscere di nuovo il feudalesimo, o perfino una società in cui viga la schiavitù, o magari l’emersione di una società comunista o primordiale. Coloro che si burlano di queste ipotesi sono prigionieri della modernità ipnotica. Riconoscendo la reversibilità del tempo storico-politico, siamo approdati a un nuovo punto di vista pluralistico per la scienza politica, e abbiamo raggiunto la prospettiva avanzata necessaria per una nuova costruzione ideologica. 

(A. Dugin)



 

E con quest’ultima affermazione mi congedo dall’eminente filosofo di Stato, Stato abdicato alla tirannia di cui ogni più certo Filosofo ne ha combattuto l’insano morbo!

 

Dato che nelle leggi classiche non esiste una freccia che assegni una direzione al tempo, un’istruzione che dica - da usarsi solo in questo senso e non in quello opposto - viene spontaneo chiedersi la seguente cosa: se le leggi che governano l’esperienza considerano entrambi gli orientamenti temporali in modo simmetrico, perché le esperienze sono tanto sbilanciate in una direzione temporale, perché si verificano sempre in un senso ma non nell’altro?

 

Da dove ha origine la direzionalità del tempo che osserviamo e percepiamo?

 

Se trattiamo di sistemi evolutivi (viventi), possiamo introdurre un terzo concetto: l’indeterminazione termodinamica, collegata al carattere intrinsecamente irreversibile del tempo. L’indeterminazione termodinamica nasce dall’esistenza sperimentale della freccia del tempo e dell’evidenza sperimentale che, durante la misura il tempo scorre.

 

Recentemente gli astrofisici hanno scoperto che la massa di una stella è collegata al tempo di vita della stella stessa. Maggiore è la massa, minore è il tempo di vita. 

(E.Tiezzi, da Giuliano, L’Eretico Viaggio)








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