lunedì 6 marzo 2023

MISTICISMO o REALTA' UNIVERSALE (Seconda parte)









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Il mistico si pone oltre la conoscenza discorsiva, ma non nel senso moderno di una diffamazione dell’intelletto a favore di un’intuizione che coincida con il senso comune e lo stereotipo sentimentale. L’irrazionalità moderna significa soltanto che si perseguita il principio critico e di conseguenza l’ordine logico del discorso intellettuale.

 

La sovrarazionalità mistica e il suo sacrificio dell’intelletto sono invece un invito a non pietrificarsi nelle determinazioni del discorso come se esaurissero la realtà, è un porsi dalla parte del mistero senza il quale l’intelletto non avrebbe vita, che è la sua fonte.

 

Il misticismo è conoscenza completa rispetto all’intelletto discorsivo che organizza la conoscenza secondo un modello meramente ottico. Colui che conosce discorsivamente delimita, cioè pone limiti visibili oppure descrive tracciando una linea d’attorno; egli intuisce o contempla, ma mai gusta intellettualmente e neppure ascolta i suoi princìpi primi (come fa il mistico) […].




I fini stessi della spiegazione, come la chiarezza o la precisione, sono concetti elaborati dal regno della visibilità. Il che è un modo per dire che ogni spiegazione muove verso l’astrazione, la visione essendo il senso più astratto […], e ci si rassicura dell’esistenza degli oggetti soprattutto attraverso il tatto.

 

Il conoscere discorsivo è un’organizzazione che stacca sempre più dai sensi del tatto e dell’odorato per attenersi all’udito e poi alla sola vista, con un lento processo, da quando fu scoperto l’alfabeto (la prima spazializzazione delle unità del discorso). Mentre il conoscere per gli Ebrei è essenzialmente un udire, nei Greci assume il carattere del vedere. Originariamente le ϰατηγορίαι erano ‘accuse pronunciate in un giudizio’, ma già Aristotele, nel definirle, s’avvale di metafore tratte dalla vista.

 

L’introduzione della stampa accrebbe il primato della visibilità; anteriormente i libri parlavano, le frasi esprimevano, le parole indicavano; in seguito si penserà ai libri come dei contenitori di frasi esprimenti idee, contenenti verità. Con la stampa il conoscere è sempre meno una trasmissione uditiva, e sempre più un mondo diagrammatico di oggetti silenziosi. Vengono a primeggiare parole come ‘struttura’ e ‘metodo’.




Nella logica del secolo XVI con Pietro Ramo e l’Agricola, il linguaggio si divide in struttura ed effetto, ‘e solo dopo una lunga evoluzione si fissa l’attenzione sulle mosse utili a raggiungere l’efficacia, sul metodo in se stesso invece che sui passi compiuti pensando a un metodo o discorrendo di esso’; col Ramo si separano due discipline un tempo unite: la dialettica che presenta e la rettorica che orna. Sino al secolo XVI l’ornamento di una cosa non è separato dalla sua funzione.

 

Ornamentum valeva per lode, onore, luce: l’uso linguistico fino a Shakespeare non distingue fra lode e lodevolezza intrinseca, un oggetto è illustre, egregio in sé non solo in quanto esaltato e magnificato: con la nuova logica scientifica il mondo razionale viene ridotto al silenzio, l’eloquenza appare un male necessario, la rettorica un mero di più, l’oratoria un sopruso; si nega che nella vita della ragione possano interferire rapporti personali, invenzioni nel contesto del dialogo: viene riconosciuta soltanto una specie di visione di oggetti allegorici, simbolici (diagrammi, modelli), e si può dire che il Rinascimento non fu tanto una rivolta contro l’autorità quanto contro l’intrusione di voci e persone in questioni scientifiche; l’idea che a un concetto si potesse giungere sul filo d’una rima diventò un’eresia.




La rettorica fu posta con la dialettica nel rapporto di ascolto e visione, l’una assimilata al risonante, l’altra al diagrammatico e silenzioso. Se dapprima le due erano state distinte ma non diverse, per Pietro Ramo non possono essere che diverse, lontane, avendole concepite estese nello spazio e non sovrapponibili nello stesso luogo. Già l’università aveva ridotto il dialogo a monologo, la stampa a visione. Si rafforzò la differenza della civiltà occidentale dalle altre, nel suo fissare in diagrammi e modelli spaziali il proprio tipo di conoscenza, nell’accrescere la rapidità dei processi mentali grazie alla stampa onde un testo veniva scorso velocemente invece che letto con lentezza, e la sua logica divenne topologica (basata su luoghi comuni) e non predicativa(esposta a parole).

 

Nel progredire di questa visibilità pura del conoscere, si giunge ai tempi moderni, quando il discorso diviene del tutto superfluo alla conoscenza. La natura è descritta matematicamente, in un contesto di simboli che non hanno alcun rapporto con il discorrere e diventano intraducibili con questo mezzo. Le scienze acquistano un carattere progressivamente visivo-simbolico e, dopo Darwin, la stessa biologia è una dialettica senza rettorica, una simbologia matematica integrale e, a sua volta, l’economia alienata dalla rettorica diventa una mera visione grafica equazionale.




George Steiner elenca tali modifiche e aggiunge:

 

L’Etica di Spinoza è un tentativo di dare al discorso l’astrattezza del meramente visibile, ma è una tautologia elaborata. Le parole non sono come i numeri, non contengono in sé delle operazioni funzionali. Sommate o divise danno soltanto altre parole come approssimazione al loro significato.

 

La logica simbolica fornisce infine nel secolo XX il modo di abbandonare gli ultimi residui del cosmo acustico, dopo di che l’alleanza fra mondo del discorso verbale e il piano auditivo si sbriciola al punto che nessuna relazione è più lecita fra un quadro e il discorrere su di esso, e la musica perde il primato auditivo, slegata ormai da un’occasione sociale esprimibile verbalmente, e priva di un’organizzazione simile a quella del discorso sintattico, è più da leggere che da ascoltare.

 

Siamo cioè in un universo dove la razionalità è silenziosa, non dialogica, le comunicazioni fra gli uomini avvengono senza più risuonare o evocare un risuonare. La conoscenza mistica o la fides ex auditu paolina (Rm, 10, 17) si allontana come mai nella storia, poiché è una conoscenza che nega ciò che i cinque sensi affermano, in vista di riapprendere quel che essi affermano attraverso la negazione della negazione. Manca la base stessa del conoscere integrale, uditivo e tattile oltre che visivo; oggi il discorso è mera elocuzione rettorica, una dialettica operante con modelli spaziali o simboli equazionali.




Per intendere la mistica, bisognerebbe riesumare il conoscere pieno, fondato sui cinque sensi, per poi negarlo e negarne la negazione. Di qui la situazione quasi inaudita di chi voglia parlare oggi di mistica e, poiché questa condizione corona un processo millenario, la mistica non da ora appare un ritorno dal visibile all’udibile, al verbo. Una delle definizioni della mistica suona pertanto: conoscenza acustica del reale o della natura acustica della realtà; è una definizione polemica, dialettica. Infatti, quando prevalga la conoscenza uditiva,  ci si richiama invece alla vista, il misticismo essendo una perpetua inversione.

 

Perciò Jalāi al-Dīn al-Rūmī (che pure teorizzò l’origine ignea dei suoni, la natura sacrificale del flauto, cui l’amante di Dio assomiglia) scrisse:

 

L’orecchio è un intermediario, l’occhio un amante all’unisono con l’amato; l’occhio ha il tripudio, l’orecchio ha le parole che lo promettono; l’udire trasforma la qualità, il vedere muta l’essenza. Se la tua conoscenza del fuoco è acquistata solo a parole, tenta di farti cuocere […]. Quando il tuo orecchio s’affina, diventa un occhio; le parole altrimenti sono irretite e non possono arrivare al cuore (Mathnawī, II, 858-862).




Perciò i Cinesi affermavano:

 

Il vero saggio ode con gli occhi e vede con le orecchie.

 

Ma la propensione prevalente nella mistica, dovuta alla necessità di bloccare la tendenza del discorso a tramutarsi in una visione di modelli, è l’opposta. Nel Cantico dei Cantici è detto:

 

Che cosa vedrai nella Sulamita senon i cori degli accampamenti? (Ct, 7, 1),

 

un’immagine militare di una musica ordinata, che contiene tutte le cose ed è associata al Verbo, alla scienza della voce (Sir, 1, 7), alla misura del divenire. Il suono della campana è quello fondamentale che lo yogin si addestra a udire(la campana essendo l’unico strumento che permetta di cogliere l’ipotono), ma la meditazione mira a discernere i suoni in connessione con le corrispondenti parti del corpo.




Marius Schneider ha additato la serie dei miti secondo i quali il creatore non è che un canto, strumento musicale o caverna risonante, per cui è probabile che la materializzazione del creatore sotto specie di strumento musicale, grotta, corpo o la sola testa umana o animale, non sia che una concessione al mito al fine di dargli un’evidenza più concreta. In realtà il creatore è un essere puramente acustico, un canto o un grido emesso probabilmente con voce di testa, che instaura un mondo di suoni e luce. L’apparizione della materia è un atto posteriore considerato spesso un decadimento.

 

Nella maggior parte dei miti la creazione del mondo materiale avviene a opera d’un morto vivente; la Bhadārayaka Upaniad lo descrive come un morto cantore e personificazione della fame, cioè della volontà di formare le immagini della rappresentazione. Il Dio attua un’inversione che tesse il mondo e si designa come ‘sfregamento, strada, o sacrificio’. Agli inizi fu un sacrificio sonoro, un vuoto. Una cassa di risonanza, vibrando, creò i suoni ossia i nomi delle cose, pietrificati poi in aspetti visibili. La natura è un incantesimo: se la si penetra, se ne coglie la continua vibrante metamorfosi, la si ode e al Creatore si risponde con i suoi stessi suoni, con un discanto.




Il mago di tipo sciamanico deve, per entrare in contatto con l’essenza della vita, imparare a discernere la musica occulta dell’universo, a riprodurre con la propria voce quella segreta musica. Gli tocca diventare una cassa di risonanza, svuotarsi, modulare il respiro e affievolirlo; si serve di strumenti acconci per riprodurre l’atto sonoro originario: rombo, tuono, il mareggiare, l’urlo bestiale. Dalla quiete o morte originaria sorse dunque il desiderio, la fame o brama, e il Dio o Verbo che ne nacque si designa come tuono, stella canora, aurora risonante, canto luminoso. Il suono del Verbo è il suo corpo, il senso del Verbo la sua luce; nella tradizione vedica si dice che il Verbo si è sparso nel creato, ogni tono musicale corrisponde a una figura astrale, a un momento dell’anno, a un settore della natura, a una parte dell’uomo.

 

Fra i mistici colui che meglio riprese il tema della musica universale fu Ibn ‘Arabī: nelle Illuminazioni meccane si dice che i santi sanno che l’estasi precede l’esistenza, perché ‘la parola divina che suscita l’unificazione estatica e riempie il cuore della conoscenza divina corrisponde al fiat che produsse la loro esistenza’: questo fiat viene udito sulla punta dell’anima; nella vita naturale esso è il gioco delle quattro direzioni, dei quattro umori, ‘ai quali corrispondono i quattro suoni musicali […], il loro godimento ed effetto sono radicati nel Verbo divino. Chi ode un suono conveniente al suo temperamento non può sottrarsi alla sua influenza’.




L’azione del principio attraverso il Cielo è infinita nella sua espansione, inafferrabile nella sua sottigliezza. Risiede impercettibile in tutti gli esseri, come causa loro e di tutte le loro qualità. Risuona nei metalli e nelle silici sonore e sta nel cozzo che le fa vibrare. Senza l’azione del principio nulla ci sarebbe […]. L’uomo che ne trae virtù di sovrano cammina nella semplicità e si astiene dall’occuparsi di cose multiple.

 

Così, meglio di ogni altro maestro cinese, si espresse Zhuang-zi.

 

All’uomo occorre risalire alle origini ogni volta che si accosti alla morte(solstizio, malattia, trapasso da una condizione a un’altra). Egli deve subire una morte rituale completa mediante il venire incantato, pietrificato, poi svuotato e fatto risuonare (personare): solo colui che accetta e rovescia periodicamente la pietrificazione e l’ammutolimento è in grado di crescere, di cantare un’esistenza nuova.

 

Lo si coglie nell’Empedocle di Hölderlin:

 

Il sacerdote […] vivente canto/come sangue di vittima in letizia /sparso […] offriva.




 Con questi versi il poeta riportava in vita il ‘giubilo che non si può né celare né manifestare con discorsi’: un giubilo che nelle parole di Ugo da San Vittore, si espandeva incanto, nel vocalizzo della lettera a nell’ultimo alleluja del graduale.

 

Agl’inizi della civiltà occidentale il pitagorismo determina con precisione la natura acustica della realtà, ponendo un rapporto esatto fra suono qualitativo(nota della scala) e la sua determinazione quantitativa (lunghezza della corda, ampiezza delle vibrazioni): i rapporti fra le note erano definibili numericamente e nel contempo udibili, la ‘materia’ e lo ‘spirito’ armonizzati dalla corrispondenza; così a ogni suono che risuoni si riproduce in modello minimo la creazione dell’universo e ogni atto di attento ascolto consente di percepire l’armonia cosmica. Questo percepire-vedere udendo è un paradosso mistico su cui insisterà soprattutto Filone d’Alessandria, un paradosso che d’altra parte è sperimentalmente verificabile. 

(E. Zolla) 








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